Incontrando Lidia Marotto

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Le poesie della Marotto al Polo Umanistico

Lidia Marotto in cattedra per parlare del suo mondo, un mondo ove è bello camminare con i piedi nudi sull’erba e ove vivono i suoi ricordi racchiusi in tempi diversi in tre raccolte di poesie: “Ascoltando gli alberi”, “La via” e “Acqua e fuoco”.

“E’ la prima volta che parlo davanti a tanta gente”: aperta, semplice e con la consueta innata dolcezza Lidia si è raccontata in un’aula del Polo UmanisticoBeato Pellegrino”, nell’ambito del Festival “Avvicinamenti”, organizzato da Fiona Dalziel, insegnante di inglese al Dipartimento Linguistico e Letterario dell’Università di Padova.

Obiettivo del “Festival” è aprire l’ateneo al territorio, per “avvicinamenti” alle realtà locali. Di qui, in collaborazione con il Servizio Educativo di AltaVita-Ira, l’incontro con Lidia Marotto, toscana doc, aretina classe 1944, arrivata a Padova da bambina e oggi ospite del Centro Servizi “Beato Pellegrino”.

Lidia ha raccontato di essersi avvicinata alla poesia quand’era già avanti con gli anni. “E’ successo tutto per caso. Ho sentito il bisogno di mettere su carta quei pensieri che mi erano nati dentro. Ad un certo punto ho dovuto liberarli”.

Poche righe per “dipingere” un sentimento. Così: “Cade la neve/forse sussurra dolce/ una ninna nanna” o “Crepe sul muro/ piccolo fiore viola/ tiepido sole”.

Per veicolare pensieri, ricordi, istantanee, emozioni, flash dal suo mondo, Lidia ha scelto l’haiku, una delle più semplici e profonde forme di poesia giapponese, nata nel XVII secolo: tre righe, di 17 sillabe (5 la prima e la terza riga, 7 la seconda).

Gli haiku sono stati definiti come i “componimenti dell’anima” che sanno descrivere come in un lampo le profondità dell’essere. In Italia l’haiku fu particolarmente utilizzato da poeti classificati come ermetisti o minimalisti. Il più celebre è stato Ungaretti (“Si sta come d’autunno/ sugli alberi/ le foglie”).

Per i giapponesi Lidia ha confessato tutta la sua ammirazione, perché la nazione del Sol Levante è abitata da tanti “perfettini” come lei: sono ordinati proprio come piace a lei, silenziosi, amanti dei fiori proprio come lei, nonché cultori dell’arte del bonsai una passione cullata a lungo anche da lei. Ecco spiegata anche la scelta della forma dell’haiku.

Nel corso dell’incontro al Polo Umanistico tre studenti hanno letto tutti gli haiku dell’ultima raccolta “Acqua e fuoco”, ventiquattro istantanee di emozioni pure, trame visive e spicchi del suo vivere: “Triste tramonto/ rintocchi di campana/ mi inginocchio”; “Scroscio possente/ rinverdisce il monte/ fuoco domato”; “Onde possenti/ ruggisce l’oceano/ tutto travolge”; “Tuoni e lampi/ urlano le pietre/ il monte frana”.

Per chi scrive Lidia? “Per me stessa, per chi si riconosce nelle mie parole, per chi si emoziona con me”. Quando scrive? “Scrivo di getto quando le parole passano dal cuore alla testa. Nessuna forma ricercata, tutto è spontaneo”. 

Le sue poesie sono pervase dalla dualità, dal contrasto, come mai? “Sono fatta così, di acqua e fuoco. Sono parti di insiemi che formano un’unità”. I suoi animali preferiti sono la tartaruga e il gabbiano, come mai? “La tartaruga va piano, tranquilla, è la corazza esterna che le dà coraggio come succede a me. Il gabbiano vola, stende le sue lunghe ali quasi a proteggere fette del cielo nel quale piace immergersi. ‘Apre le ali/vola il gabbiano/ vola nel sole’”. I suoi ricordi più belli? “Gli anni passati con i miei nonni materni nei campi di Poppi, la vita di campagna in Toscana, le marmellate per tutte le stagioni di mia zia”. Un suo sogno? “Come bramerei/ poter attraversare/ l’arcobaleno”.

Così Lidia, ricca di spontaneità, dalla insondabile profondità interiore, che sa ancora trasmettere stupore.

La sua corazza è l’umiltà, ma incontrandola e leggendo i suoi versi scopriamo che lei è “Piccolissima/una conchiglia con dentro/ la grande voce”. Una genuina voce poetica che “l’anima scuote”.