La cura? Un atto spirituale

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La presentazione del Quaderno n.5 di AltaVita-Ira

Spiritualità e cura, due parole che hanno viaggiato a lungo assieme, prima distinte poi unite, fino a fondersi in un solo concetto, un tutt’uno, una miscela salutare da utilizzare nell’assistenza alla persona. A casa? In un ospedale o in una residenza sanitaria per anziani? No, sempre. Spiritualità e cura vanno trasformate in un “Io con te”, come afferma il neuropsichiatra Marco Trabucchi.  

La fusione dei due termini è stata ribadita con forza nel corso della presentazione del “Quaderno n.5” di AltaVita-Ira, (contiene le relazioni al convegno del febbraio scorso su “Spiritualità e cura, quando l’essenziale non è visibile agli occhi”) nella Sala dello Studio Teologico al Santo. Due ore intense per congiungere le due parole, per far terminare, finalmente, l’era dei dualismi: il medico che cura e il prete che prega e benedice. No, la cura stessa è un atto spirituale.

Come in un cocktail tutti gli ingredienti hanno parità di cittadinanza, così deve essere nell’assistenza: spiritualità e cura vengono trasformate nella promessa “Io non ti lascerò mai solo”.

Tutti gli intervenuti nell’intenso pomeriggio al Santo, in una sala gremita, hanno ribadito che il giusto approccio al fragile è quello “totale”. L’attenzione non deve limitarsi alla malattia ma alla persona nella sua globalità, perché l’uomo, la donna, non hanno una sola dimensione. Corpo, cervello e spirito meritano un’identica considerazione e attenzione.

Una tesi unitaria, insomma, confermata anche dalla psicologa di AltaVita, Chiara Bigolaro, che, dal lato del pubblico, ha messo il sigillo finale all’incontro: “E’ assodato che rispondere ai bisogni spirituali concorre a determinare una buona qualità dell’assistenza, in particolare modo nell’età anziana, considerata per eccellenza il periodo di maggiore complessità della vita”. Una buona qualità – ha aggiunto – che si può raggiungere attraverso un minuzioso lavoro in équipe di tutti gli operatori, strada già intrapresa nelle strutture di AltaVita-Ira.

L’incontro al Santo, coordinato con la consueta spigliatezza e professionalità dal giornalista Francesco Jori, si è aperto con le parole di benvenuto di padre Antonio Ramina, rettore della Basilica che ha definito la spiritualità, una dimensione superiore rispetto all’imminente, con tre parole: solidarietà, cura onnicomprensiva, rispetto.

Gaetano Sirone, consigliere di amministrazione di AltaVita, nel suo indirizzo di saluto, a nome del presidente e dell’intero CdA,

ha detto che va riconosciuto il coraggio all’organizzazione “nel portarci a riscoprire temi tanto importanti come spiritualità e cura, richiamando così l’attenzione su argomenti che una visione marcatamente scientifica stava pericolosamente portando a limitare il ruolo l’assistenza ai soli aspetti terapeutici e non alla persona nella sua interezza, fatta di corpo, mente e spirito”.  “Perché – ha poi concluso- l’uomo ha bisogno della spiritualità come dell’ossigeno e dell’acqua ed è per questo che la spiritualità

non viene dopo la cura medica, ma fa parte della cura”.

L’assessore comunale Francesca Benciolini ha detto che oggi, in una realtà composita come la nostra, va prestata attenzione alla spiritualità di tutti, soprattutto attraverso l’ascolto.

Camillo Barbisan, bioeticista dell’Azienda Ospedaliera di Padova, ha sostenuto la centralità assoluta della spiritualità nella cura ed è per questo che deve trovare casa nell’attività di formazione, garantendole spazi operativi consoni.

Marco Trabucchi, studioso della terza età di fama mondiale, ha esordito togliendosi un sassolino dalla scarpa: le RSA restano oggi un modello valido, perché in grado di offrire una cura rispettosa alle persone, contrariamente a quanti le ritengono superate. Poi ha centrato il tema da par suo: cosa c’è di più spirituale della cura dell’attenzione?  Non si parli di umanizzazione delle cure, perché se non sono umane che cure sono! Nessun dualismo fra spirito e corpo, perché le emozioni sono inserite dentro di noi. La cura è sempre un atto di attenzione, un fare per l’altro, “io con te”, per ascoltare; comprendere cosa c’è dentro il dolore è un atto di grande umanità. Ha invitato al rispetto per la gente che soffre, sempre, ricordando che anche la demenza non cancella la vita e l’importanza di sapersi donare. Agli operatori dell’assistenza ha raccomandato di farsi trascinare dall’attenzione per l’altro, dal rispetto, dalla volontà di donare, oltre alle proprie capacità professionali e alla propria cultura, anche la speranza. I soldi vengono dopo, molto dopo.

Paolo Forzan, medico palliativista di AltaVita, ha sottolineato l’importanza di unire, come in un matrimonio, spiritualità e cura, un’alleanza indispensabile per il bene del malato. Forzan ha aggiunto che cura anche la parola giusta e che l’aiuto si porta soprattutto con il cuore.

Adriano Moro, assistente spirituale, si immagina come un compagno di viaggio del malato, che cammina assieme a lui. Anche la sola presenza fa parte della cura. Bisogna cercare di capire chi cerca un aiuto con rispetto e umiltà. La spiritualità non ha colore, è patrimonio di tutti.

Paolo Ramin, già medico di medicina generale e medico condotto, ricordando i princìpi che hanno sempre ispirato la sua professione, ha ricordato un episodio che ha strappato convinti applausi: una signora che voleva interrompere una gravidanza per paura di un domani di ulteriori e insuperabili stenti per la sua famiglia ha cambiato idea a fronte di una promessa di attenzione: non temere, non rinunciare a questa nuova maternità, io ti aiuterò in ogni modo, anche materialmente. Un “io con te”, un “non ti lascerò mai sola”, un’iniezione di fiducia e di speranza da parte del suo medico che ha saputo ascoltarla. Risultato finale: sono nati due gemelli che oggi sono il sostegno e l’orgoglio di quella mamma e di quel papà.