“Don Primo Mazzolari mi ha tirato fuori da un grosso guaio”

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Un ospite del Piaggi ricorda la bontà di un prete speciale

Francesco Ferrari, ospite al Pensionato Piaggi, da ragazzo ha abitato a Bozzolo, un Comune che conta 5 mila abitanti, in provincia di Mantova.

All’epoca, il suo parroco era don Primo Mazzolari, chiamato il “parroco d’Italia” e il “prete degli ultimi”. Don Primo è stato anche una figura luminosa della Resistenza.

Durante l’occupazione tedesca del Nord Italia, dopo l’8 settembre 1943, prese contatto con la Resistenza e aiutò molti ebrei, sbandati dell’esercito, perseguitati politici a nascondersi ed espatriare in Svizzera.

Fu un importante referente per tutta la popolazione contro i soprusi e la violenza nazifascista. Arrestato nel 1944 dal Comando tedesco a Mantova, fu rilasciato grazie all’intervento della Curia e si diede alla clandestinità fino alla liberazione dell’Italia nel 1945.

Nel dopoguerra fu un coerente sostenitore del dialogo e dell’apertura verso altre componenti della società, laiche e moderate. Per questo fu osteggiato all’interno dell’apparato ecclesiastico, fino alla piena riabilitazione, poco prima della morte, del Cardinale Montini e di Papa Giovanni XXIII.

Un’emorragia cerebrale lo colpì mentre predicava la domenica in Albis del 1959. Il 2 aprile 2015 la Congregazione per le Cause dei Santi ha concesso il nulla osta per avviare la causa di beatificazione.

Francesco Ferrari lo ha conosciuto. Proprio don Primo lo ha tirato fuori da un brutto guaio nel lontano 1952. Francesco Ferrari ricorda quell’episodio:

“Mi chiamo Francesco Ferrari e fino all’anno 1950 abitavo con i miei genitori, fratelli e sorelle a San Martino dell’Argine (Mantova). Successivamente la mia famiglia si trasferì a Bozzolo (non sto a spiegarne i motivi ), dove parroco era don Primo Mazzolari, un prete diverso dagli altri  e con idee innovative, che a mio padre piacevano.

Infatti, egli aspettava con ansia l’arrivo della domenica per incontrare questo sacerdote sul sagrato della chiesa del paese, prima della Santa Messa delle ore 11, e per chiacchierare un po’ con lui di tutto; io quasi sempre ero con mio padre e ascoltavo con attenzione i loro discorsi. Anche a me questo prete ispirava una grande fiducia e capivo che era sempre pronto ad aiutare tutti.

Ora racconto una cosa che mi capitò nell’anno ’52.

L’inverno era lungo e c’era tanta neve. Come tutti, a casa soffrivamo un freddo tremendo ed eravamo rimasti senza legna, senza soldi e senza lavoro. Un pomeriggio inforcai la bicicletta e me ne andai sulla strada che porta a Rivarolo Mantovano. Passata la bonifica, mi accorsi che lungo la riva di un fossato erano stati tagliati degli alberi di robinia e che c’erano dei bellissimi pali, alcuni dei quali sarebbero andati molto bene per far fuoco a casa, dove si moriva di freddo.

Nel pensare a questo, sapevo che era sbagliato, ma non sapevo che fosse una cosa grave prendere qualche pezzo di legno dove ce n’erano tanti e uno in più o in meno era lo stesso.

Da solo, però, non sarei stato capace di portarne via nemmeno uno, perché erano coperti di neve e di ghiaccio. Tornato a casa, ne parlai con un carissimo amico, Gino, che fu d’accordo di andarne a prendere due dopo cena.

Così, più tardi, incappucciati per salvarci un po’ dal freddo, ci recammo sul posto. Al buio,  incominciammo a levare la neve e il ghiaccio da due pali grossi e pesanti, che poi legammo e, io davanti con la bicicletta e Gino dietro, ce li caricammo in spalla. Arrivammo sulla strada principale, ma, fatti trecento metri circa, dovemmo fermarci per la stanchezza ed il male alle spalle.

A questo punto, come si dice il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi, in lontananza da Rivarolo si intravvedevano tre piccole luci da fari di bicicletta. Io pensavo che fossero dei ragazzi che tornavano a casa, ma non era così.

Come i fari arrivarono vicino, si spensero di colpo e una luce mi accecò completamente. Non riuscivo a capire chi erano. Sentii una voce che chiedeva: Chi sei? Gli ripetei due volte il mio nome. Allora, un signore in divisa si presentò: Sono il maresciallo dei carabinieri con due miei collaboratori.

Il sangue mi si raggelò del tutto, ma non mi persi d’animo e, quando egli mi chiese che cosa facevamo a quell’ora in quel posto, gli dissi subito la verità che a casa eravamo senza legna al freddo. Il maresciallo puntò la luce in giù e vide i due pali.

Mi disse: Ora ve li rimettete in spalla e li portate in caserma, a Bozzolo. Arrivati, suonò il campanello e un carabiniere aprì. Noi mettemmo da parte la legna e lo seguimmo. Il comandante diede l’ordine al carabiniere di andare in ufficio a battere il verbale, di farsi dare i documenti e poi lui sarebbe sceso a farci firmare. Così fece e dopo si rivolse a noi dicendo: Avete commesso un reato, ma ora andate a casa e non fatevi più pescare. Però domani mattina venite qui per dei lavori. C’è da raccogliere la neve e farne un mucchio in disparte per poi incanalare l’acqua in un tombino del cortiletto. Va bene?

Naturalmente dicemmo di sì. Uscito dalla caserma, io pensavo a quella parola un reato e non mi sentivo tranquillo. Allora dissi al mio amico: Sai cosa facciamo? Andiamo a parlare con don Primo Mazzolari.

Gino fu d’accordo e andammo in canonica anche se l’ora era tarda (forse erano passate le 23). Bussammo per un bel po’ di tempo e finalmente la perpetua ci venne ad aprire e ci accompagnò in ufficio dal parroco. Don Primo era dietro la sua scrivania e appena ci  vide abbassò gli occhiali e ci scrutò dal basso all’alto. Guardò soprattutto me e mi riconobbe: Tu vieni quasi sempre con tuo padre di domenica alla messa delle 11 .Ma cosa volete a quest’ora?

Gino, intimorito, non aprì bocca, allora parlai io e gli raccontai tutto quello che era successo. Don Primo alla fine esclamò: Ma benedetti ragassi, proprio contro il maresciallo dei carabinieri dovevate andare a sbattere! Adesso cosa posso fare per voi? Io gli risposi che poteva gentilmente fare una telefonata al maresciallo, che sicuramente era ancora alzato, dato che eravamo appena venuti via da lui. Don Primo prese la cornetta, formò il numero e poco dopo lo sentii dire: Mi scuso per il disturbo e l’ora tarda, ma ho qui due ragassi , che tremano non per il freddo ma per la paura…

Vidi che ascoltava il suo interlocutore dall’altra parte del filo per un po’ e poi disse: Grazie per avermi assicurato che non succede niente a questi due ragassi. Buona notte maresciallo.

Poi si rivolse a noi due: Era dovere del maresciallo fare il verbale, perché quello che avete fatto non è proprio una leggerezza, ma non succede niente altro per fortuna. State tranquilli, è tutto a posto e domani fate quel lavoro che vi ha chiesto il maresciallo. Mi raccomando.

Sembrava anche lui sollevato, come se si fosse messo nei nostri panni e, mentre lo ringraziavamo di cuore, vidi che sorrideva.

L’indomani mattina di buon’ora, mia madre, che era sempre la prima ad alzarsi, mi vide uscire con la carriola e il badile, ma non mi chiese niente. Più tardi mio padre, che si preparava per andare alla solita messa della domenica, le domandò dove fossi, ma lei non fu in grado di rispondergli.

Verso le dieci e trenta, come di consueto, mio padre incontrò don Primo Mazzolari sul piazzale della chiesa e da lui seppe della la mia impresa notturna.

Mio padre si sarebbe arrabbiato moltissimo se avesse saputo la cosa da me o da altri, ma apprendendola da don Primo fu tutto diverso. All’ora del pranzo ne parlò a tavola con serenità e quasi ridendo ricordava don Primo che diceva Benedetti figlioli, proprio contro i carabinieri dovevate andare! Ragassi, ma che sfortuna! Meno male che tutto è finito bene e il maresciallo li ha perdonati. Beh, andiamo a messa, va!

Io ringrazierò sempre don Primo Mazzolari per la sua disponibilità: per avermi accolto a tarda notte nella sua casa, per quella telefonata notturna che poteva anche rifiutarsi di fare, per aver riferito a lui il fatto a mio padre, che era molto severo, evitandomi di affrontarlo da solo e ringrazio anche quel maresciallo, che mi ha perdonato, dandomi però un’efficace lezione di vita.