Ogni biglietto d’auguri una storia di santi e benefattori

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Libro Auguri - AltaVita-IRA

Il libro che raccoglie i messaggi augurali per aiutare la Casa di Riposo

Un angelo dalle vistose ali, su una scalinata, che con un braccio sorregge un anziano mendicante e con l’altro protegge un bambino che prega; ai suoi piedi, sul selciato, una famiglia che invoca un aiuto. Sullo sfondo, a sinistra, il duomo e, a destra, in alto, in bella evidenza, la scritta Casa di Ricovero e d’Industria della città di Padova.  Sotto, un altro angelo scrive la parola “Benemerentibus” (ai benefattori). Non c’è una data. Ma questa rappresentazione della povertà potrebbe essere uscita da una tipografia nel 1823 o 1824. E’  la prima delle 46 immagini – recuperate e raccolte – dei “Biglietti d’augurio” che nei diversi anni, fino al 1872,  sono servite a fornire sostentamenti alla Casa di Ricovero, aperta nel 1821 nell’ex convento di Sant’Anna, in via via Sperone Speroni. Ogni biglietto, che i padovani potevano comprare al Pedrocchi, in Prato della Valle o nei pubblici uffici, costava “austriache lire tre”. Una pratica che aveva una doppia finalità: inviare gli auguri ad amici e conoscenti e, nello stesso tempo, aiutare la Casa di Riposo. Più amici, più parenti, più biglietti e quindi più aiuti andavano all’istituto che si prendeva cura degli anziani e dei poveri della città.

Ogni anno, un biglietto diverso. Nel libro “Biglietti d’augurio”, pubblicato dalla Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo nel 1985, ne sono stati messi assieme 46, appunto, scovati nelle biblioteche del Seminario e del museo civico di Padova o presso collezioni private.

Le immagini più ricorrenti nei “biglietti” fanno riferimento a scene di vita religiosa, ad allegorie e ad opere d’arte.

Ed è proprio la raffigurazione di un’opera d’arte quella incisa nel secondo biglietto della serie. Riproduce un lavoro di Antonio Canova: “la Beneficenza che guida la bambina e il vecchio cieco”, lavoro preparatorio per il monumento funerario di Maria Cristina d’Austria nell’Augustinerkirke di Vienna. Il disegno è di Giovanni Busato (1806-1886) e l’incisione di Natale Schiavoni (1777-1858).

Nel “biglietto d’augurio” del 1829 un’altra raffigurazione che fa riferimento all’opera del Canova “Dar da mangiare agli affamati”. Il Canova ispirerà anche il biglietto inciso nel 1830 con la raffigurazione dell’opera “Insegnare agli ignoranti”; poi quello del 1832 con la Stele Giustiniani, conservata al Museo Civico di Padova e dedicata a Nicolò Antonio Giustiniani, vescovo di Padova dal 1782 e fondatore dell’ospedale civile; e quello del 1833 con la stele per Ottavio Trento con il busto del marchese Federico Manfredini, insigne benefattore.

Nel 1831 in un disegno di Marco Casagrande e incisione di Antonio Viviani campeggia la contessa Anna Caterina Lupis, vedova del conte Pier Francesco Lallich, che nel 1823 aveva lasciato in eredità alla Casa di Riposo oltre 60 mila lire austriache. Nel 1834 è riprodotto il quadro del “Buon samaritano” di Eugenio Bosa (1807-1885). Eugenio, veneziano, dapprima scultore e poi pittore, è detto “il Goldoni della pittura veneziana”.

Nel 1835 c’è una “nutrice con fanciulli”, nel 1836 un’incisione di Sante Martire (1770-1851) l’“Hydria farinae non deficit nec lecythus olei mineautur …. ” (la farina nell’anfora non si esaurirà, né l’olio nella brocca diminuirà, fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla terra”). Stesso incisore nel 1837 per un disegno di Alberto Thorwaldsen.

Nel biglietto d’auguri del 1838, l’ospedale giustinianeo fa da sfondo alla “Pietas” dipinta da Elisabetta Benato Beltrami (1812-1888). Elisabetta, padovana, nata in una famiglia di media borghesia, poté frequentare grazie ad una sottoscrizione di alcuni cittadini l’Accademia delle Belle Arti di Venezia, dove insegnavano pittura Lipparini e Politi.  Una rarità per una donna. Nella delibera di accettazione dell’Accademia fu precisato che si trattava di un’eccezione, da non prendersi come esempio. Nel 1839 viene utilizzato un altro dipinto della Benato Beltrami. Stavolta “La natività”- Terza opera della pittrice padovana nel 1840 che raffigura Re David con Gionata, un giovane povero, figlio di Mifiboset, al quale promette di sedersi sempre alla sua tavola.

Nel 1841 nel biglietto spicca la figura di San Vincenzo De Paolis tratta da un disegno di Melchiorre Fontana, disegnatore veneziano. 1842:  un vescovo, Fenelon, riporta una mucca a una famiglia di villici derubata da delinquenti; il disegno è di Antonio Nardello, incisore di Bassano e di Eugenio Bosa. 1843: un disegno di Vincenzo Gazzotto (1807-1888). Vincenzo, formatosi all’Accademia di Venezia, a Padova con Jappelli e Paoletti, lavorò anche al Pedrocchi e al Teatro Verdi.

Nel 1844 il “biglietto” racconta una storia che ha per protagonista il cardinale Carlo Rezzonico, arcivescovo di Padova, poi diventato papa con il nome di Clemente XIII. “Non avendo denaro – si legge –  con cui fornire la somma di tremila ducati chiestagli da un cavaliere, quale unico mezzo di salvare il periclitante suo onore, dà ad esso la propria croce vescovile giojellata che ne valeva ben cinquemila affinché dia pegno e scampi al pericolo. Perché la memoria dell’insigne atto di cristiana carità non rimanga perduta. I poveri ricoverati di Padova la segnalano ai proprj benefattori con mille auguri per l’anno 1844”. Il disegno che ricorda l’incontro di Rezzonico con il cavaliere porta la firma di Antonio Nardello e di Eugenio Bosa.   Nel 1845 viene ricordato il miracolo di S. Pietro che mosso dalle preghiere dei poveri Ioppe riporta in vita Tabita da Giaffa (disegno di Giovanni Busato). Secondo il racconto degli Atti degli Apostoli, Tabita era una sarta di Giaffa, rinomata per la sua bontà e per le sue opere caritatevoli. A un certo punto, Tabita si ammala e muore: i vicini, saputo che Pietro di trovava nei pressi lo mandano a chiamare. Giunto presso la casa di Tabita, Pietro incontra delle vedove in lacrime, che gli mostrano gli abiti che la donna usava far loro confezionare.. L’apostolo si mette a pregare, in solitudine, nella stanza dov’era stata lasciata Tabita, e le dice “Tabita, alzati!”: una volta pronunciato questo comando, la donna tornata in vita.  Un altro miracolo viene ricordato nel 1846 attraverso il disegno di Eugenio Bosa e Antonio Nardello:.Sant’Elisabetta, regina d’Ungheria, viene sorpresa dal marito mentre di nascosto si reca da poveri per consegnare pane e vesti, che all’improvviso, per non farla incorrere nelle ire del consorte, si trasformano in “rose fresche ed olezzanti” quasi “rosa plantata super vivos aquarum fructificate”.

Un altro episodio con protagonista una santa nella scena rappresentata nel 1847: “S. Caterina da Siena, vede un povero seminudo (“sotto cui celavasi Gesù Cristo”) che le chiede vestiti da coprirsi. Ella “soddisfa alle inchieste continue ed insistenti di lui e n’ha in cambio visione in cui da Cristo stesso le è promessa veste gloriosa in paradiso” (disegno di B. Marcovich litografo veneziano). Nel 1848 viene ricordato un altro santo che va in soccorso dei poveri. E’ S. Camillo de Lellis che salva dalle acque un infermo ricoverato nell’ospedale S. Spirito di Roma, invaso dalle acque del Tevere nel 1598.

Interprete delle storie narrate sui “biglietti d’augurio” del 1849 e del 1850 è il vescovo di Padova Gregorio Barbarigo, ritratto davanti al Palazzo della Ragione mentre aiuta poveri e nel suo studio, ove consegna 800 mila ducati e il suo stesso anello episcopale per aiutare i poveri.

Nel 1851 inizia la serie dei biglietti dedicati ai grandi benefattori, portati ad esempio per la loro generosità verso i poveri. In particolare, sono ricordati il conte Antonio Vigodarzere, il canonico Giusto Antonio Bolis che con il suo lascito permise l’avvio della Casa di Ricovero e d’Industria di Padova; poi, Felice Sinigaglia, il vescovo di Padova Modesto Farina, Pietro Munegato, Anna Salvadori Zambon, Giovanni Scardova, il conte Alessandro Papafava Antonini dei Carraresi, la contessa Caterina Trotti de Cavanis, , la contessa Eleonora Forzadura Venier che donò alla Casa di Riposo un fondo di novanta campi, il conte Leonardo Emo Capodilista (oltre ad aiutare la Casa di Riposo lasciò in eredità i suoi dipinti al museo civico di Padova), il dottor Domenico Pagliarini Pignolo, il dottor Agostino De Angelis, l’avvocato Giambattista Pivetta che dal 1849 all’anno della sua morte, nel 1867, fu vicepresidente della casa di riposo (il presidente era il vescovo);  il conte Silvestro Camerini, l’ingegner Giuseppe Maria Pivetta e il conte Andrea Cittadella Vigodarzere, senatore del Regno.