Che disastri per l’anziano

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Ecological concept of greenhouse gas emissions

I mutamenti climatici impattano anche sulla salute psicofisica.

Giustamente, quando si parla di mutamenti climatici il pensiero corre vero il futuro, verso un domani incerto, che riguarderà, in particolare, figli e nipoti.

Come impatta nella testa dell’anziano una ferita ambientale grave, come una grandinata disastrosa, un nubifragio, un’alluvione o un incendio che riduce in cenere vasti territori?

Che effetto fa in gente dai capelli bianchi, vedere luoghi familiari, o anche solo conosciuti, martoriati da fenomeni estranei a esistenze che mai avrebbero sospettato di essere testimoni di tali episodi catastrofici?

Lo stato di angoscia che impatta su chi è coinvolto, subisce o vede, una tragedia ambientale, viene chiamato con un neologismo, “solastalgia”, combinazione tra il termine latino “solacium” (conforto) e la radice greca “algia” (dolore).

Più semplicemente, questo stato d’animo potrebbe essere tradotto con una sola parola: sconforto.

La persona anziana viene scossa da un vero e proprio stato depressivo, di malessere, da rabbia impotente.

In altri termini ritornano in campo due scomodi nemici che ben conoscono quanti si occupano di persone avanti con gli anni: ansia e depressione.

La “solastalgia” è stato uno dei temi affrontati in una recente newsletter dell’AIP, l’Associazione Italiana di Psicogeriatria, con le considerazioni del geriatra cagliaritano Paolo Putzu.

Ebbene, questo specialista delle malattie dell’anziano, racconta di essere stato a sua volta colpito da “solastalgia”– si considera un “old young” di 73 anni – di fronte a una tragedia ambientale, sociale ed economica, che ha sconvolto un angolo della sua Sardegna: “la solastalgia ha modificato il mio benessere; la rabbia ha preso il sopravvento prevalendo su tutto, come quando ti entrano i ladri in casa e rubano le cose più care. È una micro-tragedia personale, per fortuna condivisa da tutte le persone di buon senso”.

Secondo Putzu “un ambiente rapidamente modificato e deturpato è recepito come ostile e genera nell’anziano sensazioni di smarrimento, confusione e solitudine”. E’ spaesato, senza punti di riferimento quando viene a trovarsi in un ambiente che non riconosce più.

Ripiomba in sensazioni già vissute al tempo del Coronavirus, “con l’isolamento sociale e la mancanza degli abituali luoghi di incontro o con la forzata solitudine dei ricoverati negli ospedali o in RSA senza il conforto dei parenti”.

“In campo psicogeriatrico – sottolinea il primario cagliaritano -l’ambiente favorevole è utilizzato da diversi decenni a scopo terapeutico e riabilitativo soprattutto nel campo delle demenze – ambiente terapeutico, protesico, giardini terapeutici e sensoriali.

Molti convalidati approcci pongono l’ambiente, inteso come luogo e relazioni, al centro del processo di cura (Validation Theraphy, Gentlecare, Ambiente Capacitante).

Diversi studiosi hanno definito il cervello uno ‘specchio dell’ambiente’ e viceversa, per sottolineare il continuo bilanciamento e rispecchiamento tra di essi, con input e output reciproci”. 

Lo sconvolgimento ambientale – è ampliamente documentato – determina gravi conseguenze negative anche sulla salute psicofisica.

“È un tipo di nostalgia negativa – aggiunge Putzu-  che si prova quando l’ambiente familiare, inteso come luogo, natura o relazioni, subisce un peggioramento estetico e/o funzionale. Gli studi di Albrecht (lo psicologo australiano che vent’anni fa ha coniato il termine solastalgia) partivano dalle ripercussioni psicologiche subite dai contadini australiani in seguito ai disastri ecologici dell’estrazione del carbone o dei devastanti incendi.

Subirono un netto aumento i disturbi da stress, ansia, depressione e rabbia, patologie psichiatriche del tutto simili a quelle vissute in passato da popolazioni sfollate dalla propria terra d’origine, come i nativi americani e gli aborigeni.

Uno studio di elevato spessore scientifico sull’argomento – ‘Trends in mental illness and suicidality after Hurricane Katrina’ – ha esaminato numerosi abitanti delle zone colpite dall’uragano Katrina del 2005 evidenziando un aumento di ansia, depressione e comportamenti suicidari, a prescindere dal disturbo post traumatico da stress.

Nel 2017 l’American Psychological Association ha pubblicato il rapporto ‘Mental Health and Our Changing Climate: Impacts, Implications, and Guidance’ con l’obiettivo principale di sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sui gravi rischi psicologici causati dai danni ambientali.

Gli psicologi dell’età evolutiva parlano di nature deficit disorder – disturbo da deficit di natura (vedi ‘L’ultimo bambino nei boschi: salvare i nostri figli dal disturbo da carenza di natura’, Rizzoli, 2006)”. 

Gli anziani (per il particolare attaccamento affettivo ai luoghi naturali della loro vita e la poca adattabilità ai cambiamenti) così come i bambini (per la maggiore inconsapevole vulnerabilità al distacco dai luoghi naturali) sono le categorie più esposte ai danni psicologici di un ambiente diventato ostile. 

Paolo Putzu conclude le sue considerazioni con “la speranza che i decisori, uniti in una democratica strategia mondiale che superi i singoli interessi nazionali e le ideologie di parte, possano modificare la traiettoria del disastro.

E chissà che, dopo la rivoluzione agricola e quella industriale, l’attuale rivoluzione digitale e l’intelligenza artificiale, se ben pilotate, non riescano a invertire la rotta”.