Nel labirinto dell’Alzheimer.

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Ad AltaVita-Ira: celebrata la Giornata Mondiale col film “The father”

Fari puntati per fare luce sul morbo dell’Alzheimer, per cercare di trovare rimedi e magari soluzioni, per richiamare la politica di ogni livello a dedicare maggiore attenzione ai finanziamenti delle attività di prevenzione, alla diagnosi e alle cure, alle prese in carico e in difesa della qualità dei servizi offerti a chi è precipitato nel buco nero di questa malattia.

Questi gli obiettivi che erano racchiusi nella celebrazione della Giornata Mondiale dell’Alzheimer che viene proposta ogni 21 settembre.

Anche AltaVita-Ira ha voluto partecipare a questo evento, proponendo la visione di un film che narra la lenta decomposizione della mente di un ingegnere ottantenne, un film potente che non lascia indifferenti. E che commuove.

Ha per titolo “The father”, il padre che vive in un lussuoso appartamento a Londra, che si trova smarrito in un labirinto; che vive un’odissea nello spazio che lo circonda, con i ricordi che si accavallano e si confondono, che si disgregano nel tempo. Da uomo divertente e spiritoso, che sicuro di sé ritiene di essere indenne dagli acciacchi dell’età, diventa improvvisamente sgarbato, adirato, sospettoso, arrogante e si ritiene vittima di persecuzioni. Lo spettatore percepisce che la vita di questo uomo è un calvario, così come quella della figlia che si dibatte per assisterlo con amore, fino alla resa.

Una scelta intelligente la riproposizione di questo film, voluta e portata avanti dalla psicologa di AltaVita-Ira, Chiara Bigolaro, aprendolo alla visione di parenti degli ospiti e agli operatori della RSA.

Anche se questa scelta avrebbe meritato una maggior partecipazione, l’obiettivo di far conoscere il subdolo insorgere di questa malattia, con le sue conseguenze drammatiche per un intero nucleo famigliare, è stato raggiunto.

Nel dibattito che è seguito alla visione del film – la pellicola ha vinto due Oscar per la sceneggiatura e per il miglior attore (Anthony Hopkins) – sono stati sottolineati diversi aspetti di questa malattia. Intanto, che perdita di memoria che sconvolge la vita quotidiana non rappresenta una caratteristica normale dell’invecchiamento, bensì può essere un sintomo del morbo di Alzheimer oppure di un altro tipo di demenza.

Il morbo di Alzheimer è una fatale malattia del cervello che provoca un lento declino delle capacità di memoria, del pensare e di ragionamento.

E’ una patologia neurodegenerativa a decorso cronico e progressivo. È la causa più comune di demenza nella popolazione anziana dei Paesi sviluppati: attualmente si stima ne sia colpita circa il 5% della popolazione al di sopra dei 65 anni e circa il 20% degli ultra-85enni, anche se in diversi casi può manifestarsi anche un esordio precoce intorno ai 50 anni di vita. Oggi c’è un dato piuttosto impressionante: nelle RSA si raggiunge anche il 70 per cento di ospiti affetti da demenza senile.

Ed è per questo motivo che la preparazione del personale di assistenza è fondamentale (una famigliare ha sottolineato la preziosa azione, testimoniata dalla madre, portata avanti dagli operatori al CS “Beato Pellegrino”). Una malattia da individuare al più presto e da non sottovalutare in nessun caso.

L’American Alzheimer Association ha pubblicato i 10 campanelli di allarme: andare in confusione ed avere dei vuoti di memoria, non riuscire più a fare le cose di tutti i giorni, faticare a trovare le parole giuste, dare l’impressione di avere perso il senso dell’orientamento, indossare più abiti, uno sopra all’altro, come se non si sapesse vestire, avere problemi con il conteggio dei soldi, riporre gli oggetti in posti inconsueti, avere sbalzi d’umore senza motivo, cambiare carattere, avere meno interessi e meno spirito d’iniziativa. Quando sono visibili almeno quattro di questi campanelli d’allarme è bene confrontarsi con il proprio medico.

La psicologa Chiara Bigolaro ha sottolineato l’importanza della collaborazione fra famigliari e operatori della RSA. La malattia ha una storia, un presente e un futuro.

Nel “passato” la famiglia ha acquisito conoscenze e quindi diventa centrale nell’appoggio per chi nel “presente” ha in carico il paziente che soffre di problemi cognitivi. La famiglia deve scavare nei ricordi e riportarli a chi l’ha sostituita nell’assistenza. Accanto alla cura farmacologica – la “famosa pillolina” pian piano qualche buon frutto lo dà- cosa è utile per il malato di Alzheimer?

Il film “The father” ha mandato un messaggio: la dolcezza, prima, fin quando ha potuto, della figlia, poi dell’infermiera, che con tenerezza lo tiene appoggiato alla propria spalla, mentre l’obiettivo si sofferma alla fine, per diversi secondi,  a inquadrare un parco verde, verde come la speranza.

Un altro messaggio – è stato ricordato- viene dal libro di Flavia Franzoni, la moglie di Romano Prodi, scomparsa di recente, che in un saggio di prossima pubblicazione raccomanda che “i servizi devono andare incontro alla persona senza aspettare che questa si ammali e si aggravi, ciò per prevenire le patologie più diffuse negli anziani, per prevenire il loro aggravarsi”, con le case di comunità chiamate a un ruolo decisivo.

Messaggi di speranza che proprio in questi giorni trovano un aggancio importante. Si sa che la perdita di cellule neuronali è una caratteristica distintiva della malattia di Alzheimer e costituisce il fattore scatenante della perdita di memoria, ma fino ad oggi gli scienziati non erano mai riusciti a comprendere i meccanismi che provocavano questa morte cellulare.

Uno studio pubblicato su Science sembra invece, finalmente, far luce su questa questione sulla quale gli scienziati si sono interrogati per decenni, segnando il primo passo per una svolta significativa nella ricerca e nel trattamento dell’Alzheimer e nel futuro sviluppo di nuove terapie e di farmaci in grado di far finire questo autentico calvario che in Italia nel 2050, in assenza di progressi, potrebbe riguardare fino a 2 milioni e 300 mila pazienti.

Oggi da noi superano le 600 mila unità con oltre 3 milioni di famigliari impegnati, spesso sol e al buio, nell’assistenza. Sì, perché l’Alzheimer non è una tragedia di uno ma trascina nell’abisso tutta la famiglia.