Adesso quel che ci vuole è un vaccino antisolitudine

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Vaccino anti solitudine - AltaVita IRA

Esiste un vaccino contro la solitudine degli anziani ospitati nelle case di riposo?

Sì che esiste ed ha gli stessi nomi di quelli utilizzati oggi in Italia, che vanno da AstraZenica a Moderna, da Pfizer a Johnson&Johnson. Un vaccino che potrebbe mettere fine a una delle tragedie più diffuse in questi lunghi mesi di pandemia da Covid 19, la tragedia della solitudine degli anziani ospiti nelle Rsa.

La possibilità c’è. L’ha indicata il presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria, Marco Trabucchi e torna a richiederla con forza Uneba, l’Unione Nazionale Istituzioni e Iniziative di Assistenza Sociale, che ha inviato un’altra lettera (la seconda, la prima era stata inviata a gennaio) al ministro Roberto Speranza.

Questa la richiesta: per ogni anziano di Rsa e persone con disabilità accolta in strutture residenziali che sono già vaccinati, si vaccini anche un famigliare. Così facendo si potranno ridonare, mantenendo ogni possibile cautela, possibilità di incontri, con i protagonisti tutti vaccinati.

“Ora  – si legge nella lettera – tutti gli anziani e gli operatori delle Rsa in tutta Italia si sono vaccinati, con la sola eccezione di indicazioni mediche o scelte personali.

Mentre ancora pochi sono vaccinati tra i famigliari: i figli di un ospite di casa di riposo hanno tipicamente tra i 40 e i 65 anni. Chiediamo che sia modificato il piano vaccinale.

Chiediamo che per ogni anziano o persona con disabilità che vivono in strutture residenziali e hanno ricevuto il vaccino, sia vaccinato al più presto un famigliare”.
“In questo modo – si sostiene –  sarebbe più sicuro e più facile avere più frequenti incontri tra l’anziano o l’anziana ospite della struttura residenziale e il suo figlio o figlia, nipote, fratello o sorella, o amico caro.

Riallacciare le relazioni sarebbe un vero vaccino contro la solitudine per l’anziano, oltre che una importante fonte di benessere psicofisico tanto per lui quanto per il famigliare”.

“Le videochiamate e gli altri sistemi di comunicazione a distanza – si legge nella lettera inviata al ministro della Salute – sono state e sono preziose, ma non possono sostituire la relazione faccia a faccia.

E il grande impegno di tante lavoratrici e tanti lavoratori di enti Uneba per dedicare agli anziani accuditi non solo la cura professionale, ma anche il calore di una relazione non può comunque sostituire i legami famigliari”.

“L’insistenza dei famigliari per ritornare più spesso e più a lungo nelle strutture – conclude il documento – è anche la nostra: famiglie e Rsa, figli ed educatrici, operatori sociosanitari, sono alleate per il bene dell’anziano.

Se un famigliare per ogni anziano sarà vaccinato, si potranno organizzare le visite in serenità.

Viceversa, tutto resta più difficile. Perché ogni Rsa e ogni Direttore hanno anche la responsabilità, per legge e per i valori di Uneba, di tutela della salute di tutti gli ospiti, di tutto il personale, di tutta la comunità”.

Questa appare ai più una richiesta che ha un fondamento. E’ una richiesta con tutti i crismi del buonsenso, a differenza delle indecenti indebite pretese che giungono da gruppi di pressione per aggirare le graduatorie.

Questa non è una stortura, questa non è una furbizia. E’ un’esigenza vera, perché la solitudine sta facendo più male dello stesso virus. E’ un pericolo grave, molto più vero rispetto a quello che ha consentito, ad esempio, di anticipare la vaccinazione a professori universitari che l’ultimo studente l’hanno visto oltre un anno fa.

Qui non si sono in ballo strategie dell’imbucato, contorsioni da avanspettacolo, ma necessità improcrastinabili.

Si è stabilito che anagrafe e fragilità debbono avere la precedenza nelle vaccinazioni. Così si proceda. La tutela di anziani e fragili deve andare oltre le parole di circostanza.

Servono concretezza e fatti. Titubanza, indecisione e inerzia hanno già troppi danni in questi lunghissimi e difficili mesi.

Valentino Pesci.