Alzheimer, la stimolazione magnetica rallenta la progressione della malattia

264

Forse ci siamo. Forse. E’ d’obbligo procedere con cautela dopo le non poche promesse non mantenute in tema di contrasto all’Alzheimer.

Questa volta c’è da prendere in considerazione uno studio nato dalla collaborazione fra Ferrara e Roma.

Una ricerca effettuata all’Università estense, in collaborazione con l’Ospedale di neuroriabilitazione Fondazione Santa Lucia Irccs di Roma,pareche possa essere in grado di aprire nuove prospettiveterapeutiche nel trattamento delle persone colpite da Alzheimer.

Il trattamento oggetto di studio è un tipo di stimolazione cerebrale non invasiva, la stimolazione magnetica transcranica (Tms). E’ stato dimostrato che la stimolazione magnetica rallenta la progressione della malattia e che migliora sia i parametri clinici dei pazienti, sia la qualità della loro vita di tutti i giorni.

“Nel nostro studio sono stati arruolati 50 pazienti con Alzheimer di grado lieve moderato. In una metà è stata applicata la Tms per sei mesi con frequenza settimanale – ha spiegato Giacomo Koch, professore del dipartimento di Neuroscienze e Riabilitazione di Unife e coordinatore dello studio -, in un altro gruppo è stata applicata una stimolazione placebo.

Al termine del trattamento il gruppo di pazienti trattati con Tms ha mostrato, rispetto al gruppo placebo, punteggi decisamente migliori in una serie di scale cliniche che misurano le funzioni cognitive. In particolare, i pazienti trattati con Tms hanno ottenuto nella scala clinica una riduzione di circa l’80% nella progressione dei sintomi dell’Alzheimer rispetto al gruppo di controllo”.

L’articolo afferma come, a differenza dei farmaci di recente sviluppo che agiscono sulla sostanza amiloide o sulla proteinatau, “la stimolazione magnetica transcranica (Tms) genera campi magnetici che attraversano la scatola cranica si trasformano in impulsi elettrici, stimolando così la riattivazione delle sinapsi e deineuroni che vengono danneggiate dalla malattia di Alzheimer nel corso degli anni”.

E’ stato dimostrato che un periodo di trattamento di sei mesi con Tms sul precuneo, una regionedel cervello particolarmente coinvolta nella malattia di Alzheimer sin dalle prime fasi della malattia, è in grado di contrastare il declino cognitivo e funzionale che caratterizza questa malattia ad andamento progressivo.

Questa rete neurale è precocemente danneggiata dalla malattia di Alzheimer poiché è una sede privilegiata di accumulo della sostanza amiloide e degli aggregati di proteina tau.

Secondo Koch “questo lavoro ha due importanti elementi di novità: da una parte abbiamo individuato un nuovo target terapeutico per la stimolazione cerebrale nella malattia diAlzheimer, ovvero il precuneo con tutte le sue connessioni.

Dall’altra, per la prima volta, un trattamento con Tms è stato eseguito nella malattia di Alzheimer per un periodo di sei mesi con un disegno sperimentale analogo a quello utilizzato per la valutazione dell’efficacia dei farmaci.

Questo studio propone quindi un nuovo modello di terapia a lungo termine, mentre sinora i trial clinici con Tms avevano mostrato solo un potenziale effetto transitorio”.

Secondo il prof. Alessandro Martorana, dell’Università di Roma Tor Vergata e coautore dello studio, “i risultati sono particolarmente di rilievo poiché sono stati ottenuti in una popolazione di pazienti di fase lieve-moderata, in cui il declino cognitivo avanza più rapidamente ed è meno responsivo ai farmaci.

Inoltre, la terapia è stata ben tollerata e non si sono osservati seri eventi avversi per i pazienti trattati con Tms per sei mesi. Ciò rende questa terapia particolarmente sicura nei pazienti con Alzheimer, una popolazione fragile ed alto rischio che presenta molteplici comorbilità”.

“Sulla base dei risultati ottenuti, il prossimo obiettivo sarà quello di replicare i risultati ottenuti nell’ambito di un trial multicentrico di fase 3 che possa fornire una ampia conferma del metodo da noi sviluppato” conclude Koch. 

Lo studio ha dimostrato che la stimolazione magnetica transcranica agisce sulla plasticità sinaptica, il meccanismo alla base della formazione della memoria che progressivamente viene danneggiato dalla malattia.

I campi magnetici attraversano il cervello in maniera non invasiva e per il principio dell’elettromagnetismo, quando questi stimoli arrivano a livello dei neuroni inducono un campo elettrico che ri-attiva le cellule danneggiate dagli accumuli tossici.

“Crediamo che la stimolazione magnetica transcranica si potrebbe utilizzare in futuro sia da sola sia in combinazione – conclude Koch – potenziando gli effetti di altri farmaci che sono in fase di sviluppo e che, anche loro, mirano alla plasticità sinaptica.

Oppure si potrebbe applicare in sinergia con molecole che hanno altri target, come gli anticorpi monoclonali, che mirano agli accumuli tossici di beta-amiloide e di tau”.