La gestione della pandemia, insistiti inviti alla cautela

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E’ già tempo di mettere in soffitta tutti i divieti per contrastare il Covid? “No” ha risposto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella “perché anche se il periodo più drammatico è alle spalle, non possiamo ancora proclamare la vittoria sulla pandemia”.

E un altro “no” arriva ora dall’Ema, l’Agenzia Europea per i Medicinali, “perché nelle prossime settimane è prevista una nuova ondata”.

La raccomandazione che arriva è di mantenere in sicurezza soprattutto i più fragili. Affermano i responsabili dell’Agenzia Europea che “non si sa ancora se i ceppi dominanti in arrivo causeranno una malattia più grave rispetto alle varianti dell’ultimo periodo, ma quello che si sa è che hanno una maggiore capacità di sfuggire all’immunità conferita dalla vaccinazione, dall’aver contratto il Covid o dagli anticorpi monoclonali disponibili”.

Quindi, la parola d’ordine è “cautela”, perché il Covid è tanto imprevedibile, quanto subdolo.

I nuovi studi non lasciano dubbi in proposito. Una delle ricerche, che dovrebbe far riflettere quanti vorrebbero proclamare il “liberi tutti”, è ripresa dall’Italian Medical News. Afferma che “l’infezione da Coronavirus può causare dei risvolti negativi anche per l’apparatocardiovascolare”.

Lo studio della UK Biobank , pubblicato sulla rivista Heart, ha coinvolto oltre 50.000 individui, circa 18.000 dei quali positivi al Covid. Sono molteplici i risultati emersi dal lavoro della UK Biobank.

Innanzitutto, rispetto ai coetanei che non avevano contratto il virus, coloro che lo hanno avuto senza essere stati ricoverati in ospedale presentavano un rischio quasi 3 volte maggiore di avere un coagulo di sangue.

Inoltre presentavano anche un rischio oltre 10 volte maggiore di morire per qualsiasi causa. Ma i pericoli maggiori sono collegati a coloro ricoverati per infezione da Covid.

Secondo la ricerca infatti la probabilità di sviluppare una trombosi venosa aumenterebbe di 27 volte rispetto ai soggetti non infettati. O ancora, rischio pari a 21,5 volte maggiore di diagnosi di insufficienza cardiaca e 17,5 volte maggiore diictus.

A ciò bisogna aggiungere il rischio di diagnosi di fibrillazione atriale pari a 15 volte superiore (sempre rispetto ai soggetti negativi), quello di pericardite14 volte superiore e quello di infarto 10 volte superiore.

E non è tutto. Secondo altri ricercatori c’è anche un long Covid cardiovascolare, chiamato Pasc (Sequele Post Acute da Sars-Cov-2), caratterizzato dolore al petto, palpitazioni e alterazioni del battito, ma anche stanchezza e difficolta respiratorie.

Quasi il30%dei contagiati risentono di questi sintomi, anche 4 o più mesi dopo la risoluzione dell’infezione.

E’ per questo motivo che l’American College of Cardiology ha pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology, un documento che indica la strada da percorrere per affrontare il long Covid.

Gli esperti di casa nostra della Società Italiana di Cardiologia (Sic) condividono lo studio degli statunitensi e sottolineano l’opportunità di sottoporsi ad un corretto iter diagnostico in presenza di sintomi cardiovascolaridopo il Covid.

Anche da queste recenti ricerche, insomma, dovrebbero uscire le linee guida per il prossimo futuro, con una sola certezza: deve essere la scienza, e solo la scienza, a scandirle e a suggerirle.

Non risulta., infatti, da nessuna parte che la pandemia si stata cancellata o resa innocua per decreto.