Il giudice dà ragione alle Rsa – niente vaccini, niente lavoro

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Sentenza pilota a Belluno, azzerati anche gli stipendi

Spiacenti, niente vaccino, niente stipendio. Lo ha stabilito il giudice del Lavoro di Belluno, Anna Travia. Una sentenza è stata definita “pilota” e “storica”, la prima di questa tipologia nell’Italia della pandemia, un’Italia che non si è ancora dato una legge ad hoc.

Perché questa sentenza? Il giudice non ha fatto altro che applicare quanto stabilisce l’articolo 2087 del Codice civile sulla tutela delle condizioni di lavoro: “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure chesecondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

Veniamo ai fatti. Dieci dipendenti – 2 infermieri e 8 operatori sociosanitari –  di due Case di Riposo del Bellunese (la Servizi Sociali Assistenziali srl, Sersa, e la Sedico Servizi), avevano rifiutato di sottoporsi alla vaccinazione con Pfizer lo scorso febbraio.

Per questo motivo erano stati sospesi dal lavoro e posti in ferie forzate dalla direzione delle Rsa che li aveva anche obbligati a sottoporsi a una visita da parte del medico del lavoro.

Il medico aveva dichiarato i dieci dipendenti “inidonei al servizio”, permettendo così ai responsabili delle due Case di riposo di allontanarli dal posto di lavoro, azzerando i loro stipendi, dal momento che ne discendeva l’impossibilità di svolgere la mansione lavorativa prevista. E non c’era modo di metterli a svolgere altre mansioni in luoghi non contatto con gli ospiti delle due Rsa.

In altre parole, i dieci non erano stati licenziati ma allontanati dalle Case di riposo perché potevano costituire pericolo per la salute degli ospiti. Così dice l’articolo del Codice civile e così si è espresso il giudice del Lavoro.

A seguito della sospensione degli stipendi, gli operatori avevano fatto ricorso immediato, sostenendo che la Costituzione prevede la libertà di scelta vaccinale.

Certo, ma nel caso specifico c’erano cause di forza maggiore che azzeravano questa libertà. Il Tribunale per questo ha giudicato insussistenti le ragioni dei ricorrenti, perché “è ampliamente nota l’efficacia del vaccino nell’impedire l’evoluzione negativa della patologia causata dal virus, come si evince dal drastico calo dei decessi fra le categorie che hanno potuto usufruire delle dosi, quali il personale sanitario, gli ospiti delle Rsa e i cittadini di Israele dove il vaccino è stato somministrato a milioni di individui”.

Il giudice ha anche stabilito che era di fondamentale importanza evitare “la permanenza degli operatori non vaccinati sui luoghi di lavoro”.

Nessun licenziamento dei dieci, dunque. Potranno rimettere piede nelle due Case di riposo non appena non costituiranno più pericolo per la salute degli ospiti: o si vaccinano o dovranno attendere la fine della pandemia.

Questo aspetto è stato ribadito anche dagli avvocati che hanno assistito le Rsa nel ricorso: “Nessuno mette in dubbio la libertà di scelta vaccinale, ma nel caso specifico a prevalere è l’obbligo del datore di lavoro di porre in sicurezza i suoi dipendenti e le parti terze, ovvero gli ospiti delle case di riposo”.

Il ricorso all’articolo 2087 del Codice civile era già stato effettuato in passato per tutelare i danneggiati da amianto e le vittime di mobbing sul posto di lavoro, in assenza di leggi specifiche.

E’ stato anche dedotto, in questo caso, che rifiutare la vaccinazione da parte di chi lavora in una Casa di riposo equivale a fare mobbing nei confronti degli anziani ospiti che sono esposti al rischio di contagio.

Insomma, se non esiste la possibilità di ricollocare i no vax in reparti dove non siano in grado di contagiare e di contagiarsi l’unica via resta l’allontanamento.

Via temporaneo dal lavoro e stipendio azzerato.

                                                                                                                          Valentino Pesci.