La relazione come cura della fragilità ai tempi del Covid-19 in RSA

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Covid in RSA - AltaVita IRA

“La consapevolezza come risorsa di fronte all’emergenza”.

La fragilità caratterizza e accompagna alcune fasi dell’invecchiamento ed è argomento di studio e di  ricerca teorico-clinico da un punto di vista psicologico, con la finalità di comprendere e  promuovere risposte sempre più adeguate ai bisogni fisici, psicologici ed esistenziali della persona che invecchia,  migliorando le prassi del prendersi cura.

Fra queste, la “relazione di aiuto” rappresenta lo strumento principe della professione socio-sanitaria, capace di trasformare il tempo della fragilità  in “luogo d’incontro” fra persone, grazie al recupero dei significati di  dignità e valore. Sfogliando i manuali di psicologia,  merita un posto in prima linea lo psicologo C. Rogers che descrive come la relazione di aiuto debba essere orientata a riconoscere e a privilegiare gli aspetti della componente affettiva della persona assistita, rivelandosi uno strumento di cura unico nella promozione del benessere psico-emotivo.

Caratteristica principale di questo approccio è il suo carattere esclusivamente relazionale, con l’intento di favorire e valorizzare le risorse individuali di chi vive uno stato di fragilità, attraverso un ascolto attento e non giudicante che privilegia una comunicazione fondata sull’empatia. Anche  R. Guardini  approfondisce l’argomento soffermandosi sull’importanza di coltivare “il protendersi verso l’altro” come  base di quello scambio reciproco che è cura e relazione.

Purtroppo, l’emergenza sanitaria da pandemia di Covid -19 ha stravolto nell’ultimo anno il mondo delle relazioni di cura in RSA, portando al posto del contatto e della vicinanza regole di chiusura e di isolamento. Il brusco cambiamento imposto dal blocco delle visite di familiari, amici e volontari,  ha portato esperienze di  isolamento e di solitudine nelle persone anziane residenti nei reparti, gesti e abitudini consolidate nella quotidianità sono state come improvvisamente congelate.

Mentre le fragilità e il morire hanno fatto sentire la loro presenza e il loro peso, la cura e l’accudimento sono stati spogliati  da ogni prossimità, in  un senso generale di incertezza  e di paura. Si è reso necessario ri- pensare in brevissimo tempo come poter contrastare una situazione per molti versi alienante, per salvaguardare l’umanizzazione ancora in essere e attivare interventi di vicinanza e di conforto, contenendo timori e  disorientamenti.

Gli  sguardi e  le voci  di operatori e professionisti  presenti nei reparti Covid  hanno animato il silenzio delle  nuove solitudini, diventando  presenze privilegiate ed esclusive  dei luoghi della cura.

La relazione si è dimostrata un elemento di forza nei momenti più difficili, in grado di consentire una alleanza e una coesione nella frantumazione sociale in corso, rendendo possibile il riorganizzarsi di relazioni e il risanamento di  emozioni.

La crisi pandemica nel suo scompiglio, ci ha obbligati a rivedere modalità da tempo consolidate, facendoci maturare la consapevolezza di come sia  importante in questo particolare momento storico un potenziamento e un affinamento degli aspetti relazionali e comunicativi,  antidoti per contrastare l’amarezza del sentirsi intrappolati  e deprivati degli affetti personali.

Oggi, dopo un anno dall’arrivo del Covid – 19, in un tempo ancora prigioniero della crisi pandemica, ci si adopera con fiducia per salvaguardare e rinforzare queste nuove prassi nei percorsi di cura, consapevoli che per il benessere psicologico è fondamentale mantenere vivo il senso sociale, e, in assenza di contatti con l’esterno, il “tocco interiore” diventa la possibilità di una vicinanza affettiva ancora possibile, che contrasta e compensa l’attuale assenza di prossimità.

Convegno Nazionale di Psicologia dell’Invecchiamento – SIPI – 29 e 30 maggio 2020

                                    Cosetta Derni Psicologa e Psicoterapeuta AltaVita-IRA