AltaVita IRA gioca la carta della “RSA senza dolore”

413

Costituito un gruppo di studio, la determinazione del presidente Bellon

“Il dolore non abiterà più qui”. E’ determinato Stefano Bellon, il presidente di AltaVita IRA.  L’obiettivo è ambizioso e complesso nello stesso tempo. Nasconde serie difficoltà, ma il numero uno dell’ente di Piazza Mazzini l’ha messo in cima al programma della sua presidenza e vuole arrivare ad avere appena possibile la sua “RSA senza dolore”.

Il percorso è impervio. Ma la macchina è già stata messa in moto. E’ stato costituito un “gruppo di lavoro sulle cure palliative”, presieduto dal direttore di AltaVita IRA, Sandra Nicoletto, e composta da due medici (Paolo Forzan e Mario Durando), da una psicologa, da una logopedista, da una fisioterapista, da un capo reparto e dalla direttrice del Pensionato Piaggi, Maria Patrizia Arsìe.

E’ già stato coinvolto anche il Comitato Etico, chiamato a redigere un documento specifico per la RSA in analogia alle linee guida previste per l’ “ospedale sena dolore”.

Per Stefano Bellon – in calce alla sua firma, in tutti i documenti, il presidente riporta la dicitura “sostieni le cure palliative pediatriche promosse da ‘La miglior vita possibile’” – un buon controllo del dolore deve diventare uno degli obiettivi primari: “Non solo è possibile, ma è doveroso”.

Ma cosa vuol dire “senza dolore”? “Si punta a garantire – risponde il presidente Bellon – una vita senza dolore alcuno. Soprattutto quello psicologico, che è il più difficile da catturare, da analizzare.

Il dolore psicologico si esprime in una molteplicità di esperienze di vita che derivano e coinvolgono il malessere senza segnali neuronali, il dolore che viene vissuto ‘dentro’, ossia un dolore spesso profondo, indecifrabile dall’esterno, che si estrinseca sotto forma di tristezza, disperazione, disorientamento.

Dobbiamo imparare a scavare nel dolore, con la stessa delicatezza e passione che contraddistingue un buon operatore archeologico, che avanza con cautela verso un prezioso oggetto, che la fretta e l’imperizia potrebbe rovinare per sempre”.

Secondo Stefano Bellon il “dolore va indagato nel suo complesso”. La persona che vive in una RSA “va presa in carico con la pluralità dei suoi modi di essere, dei suoi deficit e delle sue patologie, ma anche con la complessità del suo mondo interiore, in cui confluiscono e si intrecciano bisogni, desideri, mali dell’esistere, solitudini, e anche sogni e progetti. Voglio dire che tutti noi operatori dobbiamo mettere al centro la persona, con le sue componenti fisica e mentale, emotiva, spirituale e relazionale.

Dobbiamo considerarla persona e non paziente. Dobbiamo riuscire ad abbattere i muri che ci impediscono di vedere dentro ai nostri anziani e riuscire ad alleviare il dolore psicologico, troppo spesso inespresso e cronico, la cui presenza complica drasticamente la vita di coloro che non riescono a comunicarlo”.

Il progetto coinvolgerà l’anziano, ovviamente, la sua famiglia e tutto il personale coinvolto nelle attività di cura della persona, per arrivare alla definizione di regole e protocolli, ma soprattutto ad azioni professionalmente coordinate.

Il dottor Paolo Forzan, nel corso della prima riunione del “Gruppo di lavoro”, ha evidenziato la necessità di non limitare le cure palliative solo alla cura del malato oncologico terminale, ma di estendere la loro applicazione, definendo dei percorsi di cura e di assistenza anche ai pazienti con malattie croniche in fase evolutiva.

 “La speranza – ha sottolineato Forzan – è che si sviluppi al più presto una rete a livello locale e regionale con un insieme coordinato di servizi volti a permettere un’identificazione veloce dei possibili pazienti da sottoporre alle cure, a garantire un’assistenza qualificata, una migliore qualità di vita e un supporto adeguato anche alla famiglia di chi soffre che, deve essere accompagnata, informata e supportata sul significato dell’intervento che si vuole attuare”.

Il primo problema da superare è la conoscenza del paziente stesso: l’anziano istituzionalizzato, specialmente se gravato da decadimento cognitivo, non è in grado di esprimere i propri bisogni e quindi anche il dolore, tanto più che il dolore non fisico, nella sua accezione più ampia, fonde aspetti sociali, psicologici e spirituali e per questo richiede un approccio multidisciplinare. Ogni paziente è un quadro a se stante. In ciascuno non c’è nulla di scontato e automatico.

Secondo problema: la formazione del personale. Allo stato attuale è evidente che il personale impegnato nelle cure assistenziali di cura alla persona e medico-infermieristico non può avere la giusta conoscenza delle strategie per rilevare, misurare e trattare il dolore. C’è, quindi, la necessità di iniziare una formazione continua di medici, infermieri e di tutte le figure professionali in materia di relazione, comunicazione con il paziente, di terapia del dolore, di cure palliative.

Il progetto della “RSA senza dolore” partirà dal Reparto Fiordalisi del Centro Servizi Beato Pellegrino, dove il dottor Durando opera come medico di reparto e dove verrà costituita un’équipe multi professionale, individuati i candidati alle cure palliative, elaborati i piani di assistenza individuale e adottate le nuove modalità di comunicazione esterna.

Il dottor Valter Giantin, presidente del Comitato Etico, ritiene siano maturi i tempi per avviare un progetto di RSA senza dolore, sottolineando, tuttavia, l’opportunità di avviare uno specifico percorso.

L’iniziativa che coinvolgerà il reparto Fiordalisi fa riferimento alla legge 38 del 2010, concernente le “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”.

Si tratta di una legge fortemente innovativa che tutela e garantisce l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore, al fine di assicurare alla persona malata e alla sua famiglia il rispetto della dignità e dell’autonomia della persona malata, un’adeguata risposta al bisogno di salute, l’equità nell’accesso all’assistenza, la qualità delle cure e la loro appropriatezza alle specifiche esigenze individuali, un sostegno adeguato sanitario e socio-assistenziale. Si tratta, insomma, di una via precisa per umanizzare la cura.

Oggi in Italia ci sono dati inquietanti: nonostante 9 malati su 10 accusino qualche forma di dolore, meno di un terzo riceve cure per ridurlo o annullarlo. Il dolore fa parte del “quotidiano” e, come tale, purtroppo, tende a essere considerato “abituale”.

E’ per questo che bisogna dar voce al dolore, farlo emergere. Quando il dolore acuto non è convenientemente trattato si instaura un circolo vizioso crescente di ansia, paura e stress che può portare all’insonnia, passività, immobilità che a loro volta aumentano la percezione algica del paziente.

Il dolore a livello toracico o addominale alto impedirà al paziente di respirare normalmente e tossire. L’incidenza delle complicanze polmonari viene riportato ad essere tra il 20 e il 60 per cento. Il dolore acuto degli arti inferiori o delle pelvi impedisce la deambulazione predisponendo i pazienti alle trombosi venose e quindi al rischio di embolia polmonare.

Tanti buoni motivi per attuare una corretta terapia del dolore.