Ma l’anziano non è un alieno

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La situazione di oggi induce alla riflessione

In questi giorni è tutto un susseguirsi di convegni, interviste, dichiarazioni, appelli e articoli di stampa focalizzati sul “pianeta anziani”. Ne è uscita l’ennesima “foto” che non induce al sorriso.

Tutt’altro. Una volta tanto, c’è una uniformità nei giudizi: la situazione è molto preoccupante, la barca fa acqua da più parti e il naufragio sembrerebbe dietro angolo.

Ed è un problema che riguarda tutti, prima o poi. Un invito ad aprire gli occhi è venuto anche da Papa Francesco: “L’anziano non è un alieno. L’anziano siamo noi.

Tra poco, tra molto, inevitabilmente, anche se non ci pensiamo. E se non impariamo a trattare bene gli anziani inesorabilmente così tratteranno anche noi”.

Tra le associazioni che operano nel settore della terza età, in particolare strutture residenziali, case di riposo ed RSA, crescono le preoccupazioni per motivi noti da anni e che sono diventati macigni sulla strada della quotidianità di chi è impegnato nel sostegno agli anziani: c’è assoluta necessità di riallineare i modelli di intervento verso una mutata condizione del fabbisogno assistenziale, manca il personale, mancano le risorse.

Di una sola merce oggi c’è abbondanza, sostengono: promesse, parole, pacche sulle spalle e progetti di cui non si vedono soluzioni neanche con il telescopio più potente della Nasa.

Ed è soprattutto il comparto della “non autosufficienza” a preoccupare. Secondo l’osservatorio della Università Bocconi, la stima più aggiornata delle persone anziane non autosufficienti nel nostro Paese è di 3,9 milioni di persone (pari al 28,4% della popolazione over 65, stima basata su dati Istat).

Di questi solo il 6,3% ha trovato risposta in una struttura residenziale, lo 0,6% in strutture semi-residenziali, il 21,5% tramite ADI (assistenza domiciliare integrata) la cui intensità media di assistenza è stimata su 15 ore annue per assistito. In Italia le strutture ospitano 273 mila persone delle quali ben 233 mila sono “non autosufficienti”.

Numeri miserrimi se paragonati con quelli di altri Paesi europei: l’Italia ha oggi 19 posti letto per mille abitanti, quando la media OCSE è del 47 per mille. A sostenere la “baracca” sono soprattutto le donne: il 63 per cento delle over 50 svolge in casa anche la funzione di caregiver.

Molte le famiglie che si rivolgono al mercato delle “badanti”, il cui numero è salito già a 1,12 milioni.

Le stime demografiche del prossimo futuro, secondo le proiezioni della Bocconi, parlano di un forte incremento sia degli anziani, sia dei “non autosufficienti”: “il settore –secondo lo studio – dovrebbe essere considerato priorità di intervento politico non solo per l’impatto sugli operatori, lavoratori e utenti dei servizi, ma soprattutto rispetto a tutti i cittadini (anziani e relative reti sociali) che sono oggi esclusi dal sistema”.

C’è un aspetto non secondario che viene evidenziato soprattutto dalle RSA. In Italia l’ingresso nelle strutture residenziali arriva sempre più tardi.

Arriva quasi sempre quando le condizioni di salute richiedono cure qualificate sul piano clinico e assistenziale che non possono essere prestate in maniera adeguata a casa: si è passati dagli 84,7 anni di media nel 2016, agli 85,9 del 2019 e ai quasi 87 anni di oggi.

Di più, con gli anni aumentano i casi di demenza, i disturbi cognitivi e le pluripatologie. Con oltre il 35 per cento che non è in grado di alimentarsi da solo. La degenza media nelle strutture è di 775 giorni.

Oggi i soggetti con disabilità fisica o mentale sono 2,9 milioni, nel 2030 saranno 5 milioni. Sempre oggi gli over 75 sono 7 milioni (il 12 per cento della popolazione italiana), nel 2050 saliranno a 12 milioni.

Numeri che dovrebbero far riflettere e che dovrebbero far avanzare domande. Come, ad esempio: “che tipo di assistenza offrire alla terza età”, e “hanno ancora senso le RSA”? C’è gente che è arrivata a dire che come sono stati soppressi i manicomi e gli orfanatrofi così potrebbero essere chiuse le case di riposo e le RSA.

Che risposta dare a questa affermazione così ingenerosa? “Le RSA sono un servizio insostituibile” risponde Marco Trabucchi, geriatra di lunga esperienza, presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria. “Sono centrali nella vita dell’anziano, quindi delle famiglie e quindi della comunità.

Molte persone – aggiunge Trabucchi –  non più assistibili come dovrebbero all’interno delle loro case, bisognose di assistenza continua, di assistenza infermieristica e di cure di qualità, nelle RSA trovano risposte e piani di cura che la famiglia non può offrire.

La famiglia, se attenta e sensibile, fa una scelta obbligata, necessaria, e non deve avere alcun senso di colpa per l’allontanamento della persona cara.

E’ un atto d’amore garantire al proprio caro le cure e l’assistenza che in casa la famiglia non era più in grado di garantire”.

Secondo Trabucchi le case di riposo, però, devono essere a tutti gli effetti delle “case” e non luoghi dell’abbandono, dove anche alle persone con demenza viene garantita la dignità da personale preparato e sensibile.

Case di riposo che non devono essere delle isole ma delle comunità aperte, integrate nel territorio, punto di riferimento sempre, dove gli anziani possono trovare non un posto di transito ma di vita. Di vita dignitosa.