Sos infermieri, come si è giunti a una carenza drammatica

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La carenza di infermieri è il problema dei problemi della sanità italiana. E rischia di far saltare il banco. In altre parole, potrebbe essere tutto il settore-salute a pagarne le conseguenze. E’ una gravissima carenza avvertita da anni. E da anni si rincorre una soluzione, una soluzione che tarderà a venire nonostante l’impegno assunto a tutti i livelli.

La pandemia da Covid, in mezzo a tutto il male che ha causato, almeno una cosa positiva l’ha prodotta: ha dato una scossa, contribuendo a far cambiare idea a chi da sempre ha sottovalutato il problema. Al Governo e alle Regioni è arrivato, in particolare, l’SOS lanciato dalla Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (FNOPI): oggi in Italia mancano sessantamila infermieri.

Ne servirebbero 27 mila in più al Nord, 13 mila al Centro e 25 mila al Sud e nelle Isole. Ne sta soffrendo l’assistenza – soprattutto le RSA – mentre rischia di non decollare lo stesso PNRR (Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) che punta in modo deciso sull’assistenza territoriale.

Ci si sta rendendo conto che quella di infermiere è una delle professioni del futuro. La domanda degli studenti è cresciuta dell’8% sul 2020, mentre altre professioni hanno registrato un decremento.

In Italia il rapporto infermieri-mille abitanti è pari al 5,5-5,6. E’ uno dei dati più bassi d’Europa. A dirlo è l’Ocse. Anche per il Censis oggi in Italia servirebbero almeno 57 mila infermieri. Se la carenza venisse raffrontata con il Regno Unito allora la carenza salirebbe a 300 mila unità.

Prendiamo un altro dato, il cosiddetto staffing (il rapporto fra infermieri e pazienti): la media più corretta sarebbe attorno al 6 (in numero scende a 2 in pediatria e nelle terapie intensive). In Italia da anni siamo al 9,5 con punte in alcune regioni abbiamo toccato casi di un infermiere ogni 17-18 pazienti.

Una carenza che viene da lontano

Ma perché questa cronica mancanza di infermieri? Una risposta è stata cercata in occasione del congresso di Uneba Veneto, la voce del no profit sociosanitario regionale con quasi 100 enti associati. Ecco la “foto” relativa alla situazione degli ultimi 20 anni, scattata al congresso tenutosi a Zelarino (Mestre, Casa del Cardinal Urbani) dal professor Angelo Mastrillo dell’Università di Bologna.

Dal 2001 al 2021 il turnover per gli infermieri in Italia è stato in media di 18 mila unità; la categoria ha chiesto al Governo di avviare alla professione 19.506 unità; le Regioni ne hanno chiesto annualmente 17.216; le Università hanno aperto le porte a 14.609 studenti, conferendo alla fine dei corsi 10.957 attestati annuali.

E le richieste di partecipare ai corsi mediamente quante sono state dal 2001 al 2021? Sono state 28.102 di media annuale Quindi, è da escludere categoricamente la carenza di interesse dei giovani per questa professione.

Bisogna intervenire subito perché i nostri enti stanno vivendo una situazione drammatica”, ha detto, accorato, Francesco Facci, presidente riconfermato di Uneba Veneto. “La carenza di personale sta mettendo a rischio non solo le nostre strutture ma tutto il sistema sociosanitario in Veneto” ha aggiunto Patrizia Scalabrin, di Opera Santa Maria della Carità, che ha ospitato il congresso.

L’impegno della Regione

La carenza del personale è la mia principale preoccupazione” ha confermato l’assessore a sanità e politiche sociali della Regione Veneto Manuela Lanzarin, ospite al Congresso Uneba Veneto. “Ogni anno formiamo 1200 infermieri nelle Università quest’anno siamo saliti a 1450, mail nostro fabbisogno è 3000”. E oltretutto le misure previste dal Pnrr portano con sé un ulteriore netto aumento della domanda di infermieri”.

“Va fatta – ha aggiunto Lanzarin. una riflessione a livello nazionale. Dobbiamo fare una inversione netta e mettere in discussione modelli organizzativi. E forse pensare di formare persone dedicate a settori specifici per evitare il travaso di personale tra settore ospedaliero e settore territoriale”.“Sull’operatore sociosanitario specializzato intendiamo andare avanti”, aggiunge Lanzarin, in attesa della sentenza di merito del Consiglio di Stato sul tema. 

Il ruolo delle università

Le Università venete hanno incrementato i posti disponibili di 319 unità (da 1200 a 1519), con un incremento del 26% (il più alto in Italia). Le richieste di Regione e FNOPI erano state più del doppio nella speranza di recuperare il tempo perduto.

Come se ne esce? La FNOPI nazionale ha fatto già tre proposte: una “a breve” con il superamento del vincolo di esclusività professionale, vale a dire con la possibilità di esercizio della libera professione a supporto delle strutture territoriali, fuori orario e con remunerazione a parte; a “medio termine” con l’adeguamento dei contingenti formativi; a “lungo termine” favorendo il rientro degli infermieri emigrati all’estero.

“Impossibile pensare a evoluzione del sistema senza una evoluzione delle competenze del personale”, ha notato Luigi Pais dei Mori, componente del comitato centrale della FNOPI, durante il confronto con Facci e Lanzarin.

Rimodulare l’offerta degli atenei

Il professor Mastrillo dal canto suo ha auspicato un incremento annuo del 10% del numero delle immatricolazioni ai corsi per gli infermieri, ricordando che tra le cause che hanno prodotto la situazione di oggi vanno messe in conto anche i continui mutamenti al sistema pensionistico e gli assurdi tagli alla sanità da parte dei direttori sanitari per far tornare i conti. Mastrillo ha detto che non è facile per le Università reclutare giovani ai corsi per infermieri.

Ma c’è una cosa facile facile che gli atenei potrebbero fare: rimodulare l’offerta formativa senza variare il numero finale. In altre parole, se si è in presenza di un surplus di terapisti, ad esempio, si può dirottare l’eccedenza sugli infermieri.

Agire sulle RSA con realismo

Ultime due osservazioni: remunerazione e futuro nelle RSA. Il professor Marco Trabucchi, presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria, fa notare due cose a chi tiene le redini della Sanità: gli operatori delle RSA sono il capitale più importante di cui queste dispongono e quindi deve essere giustamente considerato il loro lavoro. Poi “il Pnrr  –  osserva Trabucchi – dedica rilevanti investimenti ad una prospettiva di assistenza domiciliare per la quale non siamo assolutamente preparati, mentre trascura quasi del tutto la possibilità di agire sulle RSA per migliorarne le capacità di incidere sulla rete dei servizi per gli anziani fragili.

Giustamente si pensa al nuovo, anche se sarà difficile arrivare a realizzazioni di buon livello, e si rinuncia ad agire in un settore nel quale vi sono tutte le condizioni per arrivare ad un realistico successo”.