RSA, sparite dai radar, ma sono indispensabili

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Come dimenticarsi di tanti anziani fragili?

Perché occorre ripensare alle RSA? Sembrano sparite dal radar della politica e in particolare dall’attenzione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Una situazione grave e strana nello stesso tempo che il professor Marco Trabucchi descrive in un suo magistrale intervento apparso su “corriere.it/salute”.

“È davvero strano – scrive il presidente nazionale dell’Associazione Psicogeriatria- che le Rsa, dopo aver provocato grandi dichiarazioni sulla loro inadeguata protezione delle persone anziane, oggi siano sparite dai radar della politica, in particolare dall’attenzione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Sembrerebbe impossibile dimenticarsi che molti anziani fragili possono vivere solo perché qualcuno si prende cura di loro in modo stabile, coordinato, grazie a specifiche competenze, come avviene nelle Rsa”.

“Oggi mediamente – aggiunge il professore – l’età dei residenti è attorno agli 87.5 anni, le funzioni cognitive sono compromesse nel 70 per cento, oltre tre quarti soffre per una rilevante riduzione dell’autosufficienza. La condizione di salute è instabile, a causa della presenza contemporanea di più malattie, che determinano un quadro complesso, che può variare rapidamente nel giro di poco tempo.

Inoltre, circa un terzo dei residenti sperimentava in precedenza una condizione di solitudine. Sono nostri concittadini, che nella precedente realtà vivevano un’esperienza di disagio; richiedono quindi alla collettività risposte a vari livelli di intensività, mai, però, semplici o che si possono improvvisare”.

“Una società giusta – sottolinea Marco Trabucchi – non deve rinunciare al lavoro protettivo esercitato dalle Rsa, che può essere riassunto nella funzione di «ricomposizione» delle varie situazioni di dolore somatico e di sofferenza psichica, che hanno frammentato la vita della persona anziana, rendendola fragile.

La Rsa è «un mondo vitale», dove le persone sono immerse in esperienze sempre più ricche di quanto avveniva nel periodo precedente. Lo stile vitale si raggiunge attraverso il lavoro di personale che immette una componente di spontaneità e di generosità, oltre al rispetto formale di regole e linee guida; anche i famigliari sentono di appartenere a una comunità, talvolta difficile e apparentemente sorda, ma che nel profondo permette l’espressione di un legame tra persone che nella casa originaria non poteva esprimersi.

Gli stessi residenti percepiscono, anche se spesso inconsciamente, di appartenere ad una realtà viva, dove si cerca di allontanare la solitudine e di ridurne l’effetto «mortale» sulla qualità della vita”.
“Le Rsa – conclude Trabucchi – sono mondi vitali, contenitori di vita e non di fallimenti, luoghi dove la realtà «si ricompone».

La coscienza di questa realtà deve essere alla base sia della loro organizzazione, sempre volta alla ricerca di relazioni, sia delle modalità con le quali le comunità accompagnano la loro presenza nel territorio, permettendo di lavorare in una prospettiva di elevate capacità tecniche, competenze professionali, generosità, sensibilità per le umane sofferenze”.