Il risveglio nelle RSA

357

Riflessioni degli psicologi di AltaVita-IRA dopo gli anni di pandemia

Le RSA stanno riaprendosi all’esterno, dopo più di due anni. Gli anziani vanno riassaporando il gusto dell’esterno e i loro famigliari stanno scoprendo la ricchezza di tornare all’interno delle strutture dove vivono i loro cari.

Si è ancora lontani da quella condivisione di spazi e frequentazione assidua ante 2020, ma in ognuno è, più o meno, salda la certezza di aver superato un periodo storico difficile.

Ma niente è più come prima. Anche se c’è la concreta speranza che “possa essere recuperato quel contatto fisico e territoriale vivificante, nutrimento dell’essere persona in ogni fase della vita, consentendo ai famigliari di poter mettere mano all’armadio dei propri cari e condividere, o tornare a condividere, momenti di intima quotidianità anche in residenza”.

Si conclude così il documento scritto da Chiara Bigolaro, Cristiano Vianello, Monica Ferlin e Cosetta Derni del Servizio di Psicologia di AltaVita-IRA formulato in occasione del XV Convegno Nazionale di Psicologia dell’Invecchiamento, svoltosi a Padova. Ha per titolo “Dentro l’armadio” e contiene riflessioni sul modificarsi dei comportamenti nei caregiver in RSA a due anni dall’inizio della pandemia.

Perché “armadio”? L’armadio come luogo concreto e simbolico, contenitore sia di effetti che di affetti personali, si propone come spunto per una serie di riflessioni sulla quotidianità vissuta in RSA nel corso dell’emergenza pandemica. “Prima della pandemia – si legge nel documento – la cura e la vicinanza al proprio caro erano caratterizzate da una presenza libera, continuativa e spontanea negli spazi di vita dell’Istituto, concretizzata anche attraverso il prendersi cura del suo armadio e di quanto in esso contenuto. L’emergenza pandemica ha stravolto anche queste abitudini, imponendo distanze, mediazioni, nuove regole e una contrazione drastica del tempo condiviso”.

Rivolgendo lo sguardo al passato, gli psicologi di AltaVita-IRA scrivono che “nel corso dell’emergenza pandemica le norme previste non hanno permesso ai familiari l’accesso alle RSA.

Gli ingressi di nuovi ospiti avvenuti in questo periodo sono stati caratterizzati dall’impossibilità per la rete familiare di visionare preventivamente gli spazi interni e dal poter accompagnare il proprio caro solo «fin sulla soglia» dell’Istituto.

Nel corso del susseguirsi delle procedure operative, l’accesso ai piani è stato consentito solamente nei casi di «fine vita» dell’utente, con le pesantezze emotive che queste situazioni già di per sé comportano”.

Non solo. “Il tracciamento, il distanziamento e l’uso dei D.P.I. (dispositivi di protezione individuale), hanno imposto una riorganizzazione degli incontri ospiti – familiari, stravolgendo abitudini relazionali radicate ed impoverendo gli scambi emotivi condivisi nell’hic et nunc.

Quotidianamente si sperimenta nei familiari di utenti accolti dopo l’inizio della pandemia la mancata conoscenza della ricchezza di attività che contraddistingueva l’Istituto, mentre quanti erano arrivati prima ricordano con nostalgia un passato che sembra ora molto lontano  e non più ripetibile.

Il non poter frequentare liberamente gli spazi di vita ha innescato in qualche familiare domande o dubbi non sempre esplicitamente verbalizzati, che hanno concorso ad alimentare silenziose sospettosità, in taluni casi ostacolanti l’indispensabile alleanza famiglia-equipe curante”.

I cambiamenti imposti dalla pandemia – si sostiene del documento – “hanno privato il famigliare della possibilità di sentirsi in qualche modo partecipe della quotidianità della persona anziana.

 Quando l’ospite è silenziato dalla malattia, il potersi occupare dei suoi indumenti e dei suoi oggetti in sua presenza, concorre a creare un’atmosfera intima familiare e promuove una dimensione di senso nel caregiver”.

Queste per quel che riguarda gli ospiti. E il personale? “Il personale – è scritto nel documento – si è trovato catapultato improvvisamente in uno scenario lavorativo mai sperimentato prima, anche a detta di quanti avevano maggiore anzianità di servizio, ovvero coloro che possono essere definiti i detentori del sapere informale e storico della vita delle istituzioni.

Il know-how per gestire l’emergenza è stato acquisito in tempo reale e sul campo, condividendo competenze, sensibilità ed esperienze da parte di tutti, con un’eccezionale spinta all’innovazione e alla trasformazione della cura e dell’assistenza del residente in funzione delle esigenze del momento.

Nelle fasi di maggior criticità gli operatori si sono dovuti far carico in modo esclusivo dello scambio socio-relazionale quotidiano della persona anziana e, quando necessario, dell’accompagnamento nel fine vita, vicariando aspetti prima gestiti in presa diretta da familiari e amici.

I Servizi dell’Ente hanno rivisto il loro modus operandi in funzione dei nuovi bisogni dell’anziano e della sua rete familiare, evidenziando notevole flessibilità, spirito di abnegazione e motivazione a nuovi apprendimenti. La tecnologia ora è diventata strumento abituale per tenere i contatti con la rete familiare. Tutti si sono spesi per “farsi ponte” fra interno ed esterno,  fra la persona anziana e la sua rete familiare e amicale”.

Così tutti – viene sottolineato – dal 20 febbraio 2020 al 31 marzo 2022, ci siamo trovati immersi in una dimensione di vita mai sperimentata prima  che ha imposto un ripensamento globale della propria esistenza famigliare e lavorativa”.

 Quali sono state, infine, le scelte operative di AltaVita-IRA per superare quel periodo che sembrava non finire mai?

Non ha mai fatto venir meno il canale comunicativo ospiti-famigliari; ha favorito la rete famigliare nel limite del possibile; è stata alimentata la speranza e la progettualità degli ospiti; dove la vita si andava spegnendo i professionisti hanno accompagnato l’anziano nei suoi ultimi giorni, coinvolgendo il più possibile, nel rispetto delle diverse normative vigenti, la rete familiare; da ultimo la condivisione delle problematiche nelle équipe e all’interno dei Servizi ha promosso  compartecipazione, responsabilizzazione e valorizzazione delle risorse umane interne.

Queste scelte hanno innescato circuiti virtuosi di azioni condivise che hanno fatto percepire nei professionisti maggior senso di appartenenza e di riconoscimento interno, pur nella tempesta della campagna mediatica che si è abbattuta sulle RSA.

Servizio di Psicologia – AltaVita-IRA