La minaccia del Covid. Nessuno si salva da solo.

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Bioetica e Salute Globale: bisogna imboccare la strada dell’equità e della giustizia

La pandemia da Covid ha messo il mondo con le spalle al muro. Attenzione, ha ammonito, perché qui nessuno si salva da solo.

E proprio su questo tema sono stati offerti importanti contributi nel corso di un webinar su “bioetica e salute globale”, organizzato dal Comitato Etico per la pratica clinica del Centro Servizi Galvan e Craup di Pontelongo e Piove di Sacco e dal Comitato Etico di AltaVita-Ira con la collaborazione di diversi Comitati Etici del Veneto.

Con il coordinamento di Valter Giantin, geriatra all’ospedale di Bassano, hanno parlato il professor Mario Roviglione, studioso di fama internazionale, Giovanni Putoto, responsabile della programmazione e dell’area scientifica Medici per l’Africa-Cuamm, e monsignor Pegoraro, Cancelliere della Pontificia Accademia per la Vita; molto significative anche le testimonianze di Giovanna De Meneghi (dal Mozambico) e di don Anton Appa (dall’India, dove la Chiesa fa quel che può per sopperire all’assenza del governo).

Valter Giantin, che è anche presidente dei Comitati Etici Galvan e Craup e di AltaVita-Ira, introducendo i lavori ha parlato delle “Basi per una nuova bioetica all’epoca della globalizzazione.

“Ci troviamo oggi – ha esordito-  di fronte al dilagare a tratti incontrollabile della pandemia di fatto divenuta attualmente una sindemia: un insieme di patologie pandemiche, non solo sanitarie ma anche sociali, economiche, psicologiche dei modelli di vita, di fruizione della cultura e delle relazioni umane”. E in questo mondo dove la globalizzazione ha portato sì aspetti positivi (velocità nelle comunicazioni, nella circolazione delle informazioni, opportunità di crescita, contrazione delle distanze spazio-temporali, riduzione di costi grazie alla concorrenza) sono  derivati tanti aspetti negativi (degrado ambientale, sfruttamento, aumento delle disparità sociali, perdita di identità locali, riduzione delle sovranità nazionali, riduzione dell’autonomia delle economie locali, diminuzione della privacy).

“Da anni – ha aggiunto Valter Giantin – si conosce sulla base di molte evidenze scientifiche che le malattie dell’uomo, non soltanto le cosiddette ‘malattie della povertà’, riconoscono spesso fattori strutturali, socioeconomici, politici collettivi dove le problematiche di accesso, di diritti e di discriminazione, sono alla base delle disuguaglianze di salute, costituiscono la base di partenza comune, su cui le stesse si sviluppano. La ‘salute globale – ha aggiunto-  è un nuovo approccio integrato  di ricerca e di azione che è nato negli ultimi anni e per dare pieno significato e attuazione a una visione della salute come stato di benessere bio-psico-sociale-spirituale, ma anche come diritto umano fondamentale, nel quale salute e malattia sono risultati di processi non solo biologici ma anche economici, sociali, politici, culturali e ambientali, trascendendo e superando le prospettive e gli interessi e le possibilità delle singole nazioni”.

“L’approccio alla salute globale – ha detto ancora Giantin – promuove il rafforzamento  di sistemi sanitari in un’ottica universalistica  con riforme orientate all’equità, solidarietà, sostenibilità e inclusione. Mira a colmare il divario fra evidenza scientifica e decisioni operative nell’ambito dei 17 obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità, sottoscritto il 25 settembre 2015 dai governi di 193 paesi membri delle Nazioni Unite e approvato dall’Assemblea generale dell’Onu”.

Anche la bioetica che rappresenta  un approccio ancor più esteso che mira a far confluire più discipline umane (medicina, filosofia, statistica, giurisprudenza, teologia, sociologia, psicologia, ecc.) sulla riflessione necessaria, per delle scelte di tipo clinico e sperimentale sempre più umane e umanizzanti, dovrebbe oggi essere ampliata per diventare bioetica globale attraverso un discorso etico e multidisciplinare  che rappresenti un ponte verso il miglioramento sostenibile della salute delle persone e del nostro pianeta.

L’assistenza sanitaria, l’inclusione sociale e la salvaguardia dell’ambiente sono responsabilità da condividere di fronte alle disuguaglianze che minacciano la salute e ancor più la dignità degli esseri umani. La grande sfida da affrontare è la realizzazione di una visione universale che riesca a salvaguardare e conciliare le diverse tradizioni culturali locali verso una formazione e una cooperazione che abbracci geograficamente tutte le nazioni, sia paesi economicamente avvantaggiati,  che paesi a risorse molto più limitate.

 “E’ proprio vero come ha titolato il quotidiano ‘Il Sole-24 Ore’ – ha concluso Giantin- che il virus spinge l’unione della salute. Due europei su tre, infatti, sono favorevoli a dare maggiori responsabilità alle istituzioni comunitarie. Bruxelles ora accelera la svolta su scambio di dati, aggiudicazione congiunta di vaccini e nuovi organismi di gestione”.

  E’ seguita quindi la “lezione” del professor Mario Raviglione, Ordinario di Salute Globale all’Università Statale di Milano (e da anni ai vertici di organizzazioni mondiali della Sanità), dove “globale” – ha esordito- deve essere lo scopo, e globalità deve esserci nell’affrontare i problemi, nella visione delle priorità in salute e nella ricerca di soluzioni multidisciplinari e cross-settoriali, dagli aspetti curativi alla prevenzione. Secondo Raviglione i grandi temi della salute globale oggi sono:  le sfide multisettoriali (migrazioni e cambiamenti climatici, le pandemie);  la cooperazione internazionale;  la governance (l’Organizzazione mondiale della salute e altri attori);  l’era degli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu (SDG); determinanti sociali (salute e sviluppo, impatto della globalizzazione, global burden of disease, transizione epidemiologica e progresso nella salute del mondo; recenti fenomeni e il futuro della GH (Global Health) in tema di accesso equo per tutti  e di giustizia sociale; l’evoluzione della medicina tropicale alla salute pubblica e la salute internazionale. Ha poi ricordato le emergenze degli ultimi 50 anni: Sars, Mers, Ebola, Chikungunya, Avian Flu, Swine Flu, Ika fino al Covid 19 e la loro diffusione nei vari paesi del globo. Ha ricordato la comparsa del Covid in Cina, quindi le soluzioni o le non–soluzioni via via adottate dalle diverse nazioni. In troppi si sono mostrati impreparati, nonostante gli avvertimenti. In Italia diverse cose sono andate storte: negazionismo e scetticismo, ritardi gravi nel riconoscimento della minaccia, soluzioni parziali, inseguimento del virus anziché prevenirlo, politiche diverse nelle diverse regioni, esodo da nord a sud, nessuno sforzo nel proteggere gli operatori sanitari e gli anziani, nessun tracciamento dei contatti, mancanza di capacità di sorveglianza e condivisione delle informazioni.  E il rapporto Oms scomparso.

 Il problema dei vaccini e dei brevetti è stato affrontato da Giovanni Putoto. Ha ricordato innanzi tutto gli effetti drammatici che ha portato il Covid: con 120-150 milioni di persone a rischio di precipitare in uno stato di povertà estrema; 250 milioni di persone a rischio di precipitare in uno stato di fame. Parlando degli obiettivi del programma Covax ha detto che l’impegno era di vaccinare un quarto della popolazione dei paesi più poveri entro la fine del 2021. Ma si dovrà andare avanti purtroppo per diversi anni (2024 se va bene).  Anche perché oggi l’accesso ai vaccini è concentrato in dieci paesi. Nell’Africa sub-sahariana solo lo  0,5 % ha ricevuto il vaccino, 5 paesi non hanno ancora iniziato le vaccinazioni. Poi i Paesi produttori di vaccini esportano pochissimo (Usa) o neanche una dose (Gran Bretagna). Ha parlato della strada che deve fare il vaccino in Africa dove i mezzi di trasporto e di conservazione sono inadeguati. Gli ostacoli sono tecnici, economici e politici, e quindi è indispensabile prendere posizione. Davanti a una emergenza globale, l’unica risposta possibile deve essere globale. L’Africa non può restare esclusa”.

Ultimo aspetto affrontato la “bioetica globale”. Intanto, la locuzione latina “Mors tua vita mea”, di origine medioevale, deve essere cambiata in “Vita tua vita mea”. Lo sostiene con forza monsignor Renzo Pegoraro, intervenuto al “webinar”.

Cancelliere della Pontificia Accademia per la Vita. Membro di alcuni comitati etici e già presidente di società europee di bioetica, monsignor Pegoraro ha detto che il Covid è stata una inaspettata occasione per farci ricredere: “Ci pensavano onnipotenti e ci scopriamo fragili e mortali. Ci sentivamo uniti mentre eravamo solo connessi o collegati. Credevamo di essere veloci e invece ci siamo trovati in spazi ristretti e abbiamo scoperto il coprifuoco”.

E la Bioetica cosa ha fatto per richiamarci alla realtà? “A dire la verità – ha detto il professor Pegoraro – si è trovata impreparata quando il Covid ha preso a imperversare. Non aveva gli strumenti, né i concetti e i princìpi tematici. Era abbastanza assente nei contesti, nelle politiche sanitarie, nei controlli. E’ stata una voce marginale anche quando si è trattato di affermare le priorità nella somministrazione dei vaccini. Ora è tempo di ripensare la bioetica a partire dal concetto di persona inserita in una comunità e in rapporto con l’ambiente, per il quale deve esserci la massima cura e attenzione. L’ha detto con forza Papa Francesco: non si può vivere sani in un mondo malato. Deve valere il principio di giustizia e solidarietà. Nessuno si può salvare da solo. Ma possiamo salvarci tutti insieme. Oggi la bioetica è chiamata a rielaborare i suoi concetti per essere capace di incidere sia nella salute pubblica che nella giustizia sociale. Deve essere una bioetica più inclusiva, per incidere sia sul bene che sulla salute. Deve essere un ponte fra scienza e uomo, fra filosofia e società, capace di rispondere alle nuove sfide, attraverso riflessioni e azioni”.

 “Nel nostro agire –ha affermato monsignor Pegoraro – dobbiamo avere cura in primis per i più fragili, per i più deboli. In tema di vaccini, ad esempio, il mondo è in ritardo, con i paesi più ricchi che incrementano le loro riserve e pensano di somministrare dosi anche alla fascia di età fra i 12 e i 18 anni, mentre altre nazioni non sono in grado di vaccinare nemmeno medici e infermieri. Ecco, la bioetica è chiamata a diffondere una cultura nuova, una cultura di fratellanza umana verso tutti”.  

                                                                                   Valentino Pesci