Isolare gli anziani, errore da non fare

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Non è vero che l’età avanzata inibisce i rapporti

E’ come un terremoto che scuote tutto il corpo e che fa male alla salute  fisica e mentale. Soprattutto negli anziani.

Alla solitudine, recenti studi condotti in Europa e negli Stati Uniti, viene associata una cascata di malanni: una peggiore salute cardiovascolare, una sempre più scadente funzione cognitiva, scarsa autostima, obesità, disagio psicologico, depressione, insonnia, stress.

Dall’università di Oslo viene uno studio che afferma che persone che si sentono sole nel tempo possono mostrare un declino della memoria verbale, cioè non ricordano alcune parole.

Ricercatori dell’ateneo di York nel Regno Unito, sul British Medical Journal, affermano che alla solitudine e all’isolamento sociale sarebbero da associare un aumento del 29% del rischio di infarto e del 32% del rischio di ictus.

Sul tema della solitudine – quella indotta, quella che tende ad escludere l’anziano dalla vita comunitaria – è intervenuto sull’ultimo numero di aprile della Newsletter dell’AIP (Associazione Italiana di Psicogeriatria) il professor Marco Trabucchi, commentando una ricerca apparsa sul New York Times il 24 aprile. “Sottolineo come l’ageismo – afferma Trabucchi – sia frequentemente causa di solitudine, perché diffonde l’idea profondamente errata che la persona anziana sia sostanzialmente incapace di rapporti e quindi di difficile inserimento in una comunità.

È chiaro che combattere l’ageismo ha conseguenze su diversi piani; quindi anche l’impegno contro la solitudine delle persone anziane deve avere come premessa la diffusione di una cultura che valorizzi chi ha una storia personale più lunga.

A questo proposito i ripetuti interventi compiuti in queste settimane da Papa Francesco a favore delle persone anziane hanno grandissima importanza, perché diffondono l’idea che ogni persona, a qualsiasi età, è titolare del diritto di cittadinanza, condizione che gli garantisce un valore assoluto, che prescinde da qualsiasi altra valutazione”.

“L’insieme delle osservazioni soprariportate – sottolinea il presidente dell’AIP – confermano come sia importante dedicare attenzione ai vari aspetti della vita dell’anziano, perché tra loro profondamente interconnessi.

Ad esempio, quindi, organizzare incontri con le scuole per insegnare ai giovani una visione positiva dell’esperienza che vivono nelle famiglie a contatto con i loro nonni è doveroso, perché nell’ambito stesso della famiglia si diffonda l’idea che gli anziani sono in grado di svolgere compiti assolutamente simili a quelli degli altri componenti della famiglia.

Da qui nasce un modello di convivenza che rifiuta ogni pregiudizio, atteggiamento che è fondamento, come sopra indicato, anche per la costruzione di comunità che combattono la solitudine.

È importante diffondere, prima di tutto tra i giovani, il concetto che le idee positive sulla vita degli altri non sono solo un obbligo sul piano morale, ma anche un mezzo per garantire a tutti una condizione di buona salute.

I giovani devono essere soprattutto educati ad una visione della vita come realtà complessa, per cui ciascuno si deve assumere responsabilità generali per costruire per tutti una ‘vita buona’ nelle comunità.

Sul tema della solitudine il professor Marco Trabucchi ha poi fatto un importante annuncio: “confermo che si terrà anche quest’anno a Padova, il 15 novembre, la giornata nazionale sulla solitudine dell’anziano, l’ormai tradizionale convegno che sarà dedicato in modo particolare alla discussione dei possibili modelli di intervento per ridurre la solitudine, sia a livello individuale che delle comunità”.