Famigliari e operatori delle RSA: il dolore non sta da una parte sola

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Le limitazioni delle visite agli ospiti motivo di forti proteste

Le limitazioni imposte dall’emergenza pandemica in tema di visite agli ospiti delle RSA sono alla base di un malessere diffuso sia tra i famigliari, sia fra gli operatori delle strutture.

I primi si sentono privati di un diritto, gli altri sono dispiaciuti a fronte delle inevitabili sofferenze che ricadono sui loro assistiti, ma nello stesso tempo sono obbligati a fare rispettare le “regole” per l’esclusivo bene degli anziani.

Se esistesse uno strumento per misurare il peso delle proteste dei famigliari, da una parte, e il peso dell’afflizione di chi ha la responsabilità della conduzione della RSA, dall’altra, si potrebbe verificare chi sta peggio.

Non ci sarebbe alcun dubbio: dolore e disagio senza fine gravano di più su coloro che operano all’interno delle residenze.

Per comprendere meglio questa affermazione, leggiamo insieme questa lettera, scritta da un dirigente medico di RSA:

“Ieri ho lasciato fluire i rimpianti, ho lasciato che arrivasse alle viscere la paura e la pena. L’infinita, straziante pena per gli anziani ricoverati nella mia struttura. Gli stessi a cui ho dovuto, ancora una volta, togliere quel briciolo di gioia nel vedere di persona i propri cari.

Gli togliamo un’altra consuetudine appena faticosamente acquisita. Noi ci danniamo l’anima per farli sentire curati, accuditi, coccolati, e protetti.

Ma io credo che loro non abbiano gli strumenti per vivere con plasticità le conseguenze di regole restrittive che si alternano continuamente, in un balletto tragico che calpesta i loro cuori.

Loro sono i più rigidi di tutti: cognitivamente, emotivamente, psicologicamente, ed anche fisicamente.

Forse è proprio per questo che sono così fragili. Loro sono quelli a cui se sposti una foto sul comodino vanno in agitazione; noi gli togliamo ciò che per loro conta più di 1000 foto: i figli, i nipoti, visi e voci conosciuti da sempre, che testimoniano il senso della loro vita, che fa accelerare i battiti dei loro cuori, le loro farfalle nello stomaco.

E per cosa? Sono tutti vaccinati, i casi gravi di Covid adesso sono molto più rari. Noi cerchiamo di far rispettare le regole dell’isolamento: appena scoviamo un positivo, anche se sta benone, lo chiudiamo in una stanza e gli togliamo tutto ciò che può addolcire gli ultimi anni o mesi di vita, per giorni che per loro pesano come secoli, e che, forse, non hanno più alcun senso per loro” (la lettera firmata da Alessandra Marrè è riportata nella Newsletter del 28 gennaio dell’AIP, Associazione Italiana di Psicogeriatria).

Questa lettera costituisce una riposta forte a quanti ritengono che le RSA si chiudano per egoismo, al fine di ridurre le fatiche degli operatori e dei gestori.

Invece, sappiamo bene come la sofferenza dell’autrice della lettera sia condivisa dalla grande maggioranza di chi lavora in queste strutture.

Ma quale riduzione delle fatiche! Tutt’altro: si sottopongono a turni che sembrano non finire mai per garantire ai loro assistiti condizioni di massimo benessere, anche quando tutto concorre ad aggiungere ogni genere di difficoltà.

La conflittualità famigliari-operatori è un’altra triste conseguenza determinata dal Covid. Tra le più dolorose.

Ben conosciamo i “refrain” tipici dei famigliari, che si sentono defraudati di un loro diritto: “Pur comprendendo la necessità di proteggere le persone fragili ospitate nelle RSA, non riesco a tollerare la miopia con la quale si trascurano i diritti dei parenti e dei famigliari e non vengono considerati i benefici generati dalla possibilità di stare insieme, scambiarsi un sorriso, una parola, una carezza. E’ come se ancora non si fosse compreso quanto la vicinanza sia fondamentale per lenire la sofferenza delle persone».

 “Di nuovo soli. Di nuovo rinchiusi. E’ intollerabile».

“La situazione è diventata insostenibile, non si capisce come e quando si potrà riprendere un minimo di normalità nelle visite. Quando potremo rivedere i nostri cari, che nel frattempo se non muoiono di Covid moriranno per depressione?” E via elencando, riportate con clamore dalla stampa ogni giorno.

Parole che feriscono. Parole che non tengono conto di chi sta dall’altra parte.

Che suggeriscono ancora una volta che sarebbe molto opportuno conoscere prima di giudicare.